domenica 30 settembre 2018

L'Inquisizione in Italia. I movimenti catari. Una nuova esperienza cristiana. Un'esperienza dualista in evoluzione

L'INQUISIZIONE IN ITALIA 

I movimenti catari



Una nuova esperienza cristiana

Questi dissidenti si trovavano nelle regioni economicamente, socialmente, culturalmente più vivaci dell'Europa occidentale nel secolo XII: in Linguadoca, Borgogna, Fiandre, Renania, Spagna orientale e Italia centro-settentrionale. Furono detti catari, che siignifica puri, per la loro morale rigida e ascetica: praticavano una severa povertà, evitavano il matrimonio e la procreazionee aborrivano carne, uova e latticini, in quanto cibi derivati da accoppiamento sessuale. Si dedfinivano <<buoni cristiani>>, si ispiravano alla vita di Cristo e degli apostoli e si ritenevano anzi i soli <<veri imitatori della vita apostolica>>, leggevano la Bibbia, predicavano i loro innsegnamenti più o meno apertamente, perché molto presto furono perseguitati e costretti ad affrontare problemi di sopravvivenza all'interno di una cristianità ostile. L'esperienza religiosa dei <<buon cristiani>> avveniva a due livelli: i veri catari erano i perfetti, un nucleo limitato che viveva a fondo gli alti e difficili ideali, mentre i semplici credenti, tra cui molte donne; si limitavano ad aderire ai pochi principi dottrinali che venivano loro comunicati, ricevano esortazioni morali per la loro normale vita sociale e lavorativa, compreso il matrimonio e si impegnavano ad aiutare con denaro, cibo, ospitalità i perfetti. Questa distinzione non era esclusiva del catarismo: ma corrispondeva grosso modo, fatte le dovute differenze, a quella tra i monaci e la grande maggioranza dei semplici fedeli. 

Un'esperienza dualista in evoluzione

L'esperienza catara tuttavia, ebbe una caratterizzazione dottrinale di tipo dualista, dovuta alla particolare concezione dell'orgine e del senso del male e a probabili influssi dele comunità orientali boogomile presenti nella Macedonia bulgara. Non si trattava tanto di una vera e propria visione metafisica e cosmologica, di una riflessione astratta sui problemi riguardanti l'Assoluto e l'origine dell'universo e della materia, quanto piuttosto di una concezione della realtà stessa a risolvere il problema della salvezza. Secondo questo dualismo degli inizi che gli storici definiscono moderato, Lucifero, che si era ribellato a Dio ed era stato precipitato in quanto Satana nel mondo materiale con gli angeli ribelli, riordinò la materia già creata da Dio, ma fece l'uomoricavando dal fango una figura inerte e ottenendo da Dio  di animarla immettendovi a forza un angelo decaduto. Il diavolo voleva tenere imprigionato nell'uomo l'angelo della luce, ma Dio decise di inviare un suo angelo, Cristo, per liberare lo spirito dalla materia. Gesù Criisto non ebbe corpo umano e non compì vermanete nessuna azione umana, materiale, se non in apparenza, non salvò gli uomini con i meriti infiniti della sua morte, ma mostrò semplicemente come poter uscire dai legami della materia con una vita di rigorosa penitenza e di completo distacco dal mondo terreno.
Gli storici ritengono plausibile l'ipotesi che i contatti con la penisola balcanica siano avvenuti nella prima metà del secolo XII sia in seguito alle crociate sia ache attraverso l'arriivo in Occidente di alcuni predicatori bogomili cacciati nel 1143 dall'imperatore di Bisanzio. I primi contatti rislgono alla metà degli anni '60, quando il vescovo di una comunità dualista radicale dei Balcani o di Bisanzio, di nome Nicheta, o Niquita passò per la pianura lombarda, convertendo alle proprie concezioni i catari che prima aderivano a un dualismo moderato e partecipò al "concilio" che si tenne a Saint-Félix-Lauragais (Saint-Félix-de-Carman) nei pressi di Tolosa. 
Il dualismo radicale si diffuse comunque in tutte le comunità-catare della Francia meridionale e fu accettato in modo vario soltanto da una minima parte di quelle italiane: nella chiesa di Desenzano con un'adesione completa, in quella di Bagnolo-Mantova con una coesistenza con le precedenti concezioni. I catari non furono mai un movimento unitario, con sistemazioni dottrinali compiute e organiche, universalmente riconosciute, ma presentarono una pluralità di interpretazioni e articolazioni distinte in due rami principali, moderato e radicale. I catarismi non solo rispondevano alla ricerca, alla creatività e al gusto vario dei <<buoni cristiani>> diseprsi in aree diverse e con tante particolarità sociali e politiche, ma non ebbero modo di approfondire una speculazione teologica e di compiere una evoluzione e omologazione dottrinale poiché ben presto iniziò la clandestinità causata dalla persecuzione e dai tentativi di conversione.

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sabato 29 settembre 2018

L'inquisizione in Italia. I movimenti catari. Le prime notizie

L'INQUISIZIONE IN ITALIA 



I movimenti catari

Nel secolo XII presero vita alcun movimenti religiosi dissidenti che durarono molto più a lungo, sollevarono l'interesse di una parte e i timori maggiore parte della società cristiana: i catari e  valdesi. Le loro vicende sono molto studiate, perché e fonti storiche sono carenti e discontinue e chiaramente partigiane, non solo per il periodo iniziale, ma anche per quanto riguarda l'effettiva diffusione l'organizzazione interna, gli aspetti dottrinali, i contatti con esperienze analoghe precedenti o contemporanee. 

Le prime notizie

Già poco prima della metà del secol XII si ha notizia della presenza in Colonia di due tipi di gruppi dissenzienti, Evervino di Steinfeld scrisse a Bernardo di Clairvaux: un gruppo si può far rientrare nella tipologia pauperistico-evangelica, perché mirava a una riforma del clero, criticava alcune dottrine in genere marginali e non aveva una propria consapevolezza istituzionale; mentre l'altro si richiamava esplicitamente agli apostoli, aveva una comunità strutturata in auditori, credenti ed eletti, con la larga partecipazione di donne, viveva la propria esperienza religiosa in antagonismo alla Chiesa, con sacramenti propri e segreti, senza il battesimo dell'acqua, ma con il battesimo in Spirito Santo e fuoco, e seguiva una rigida morale che rifiutava i cibi derivati da una unione sessuale. Il canonico così premostretense così lo descriveva:

Essi dicono che la chiesa è soltanto presso loro, essi seguuono con coerenza le vestigia del Cristo e rimangono i veri imitatori della vita apostolica, perché non cercano le cose che sono nel mondo: così come Cristo non ebbe possessi, né ai suoi discepoli concesse di averne. Voi invece aggiungete casa a casa e campo a campo e cercste le cose che sono di questo mondo: così che anche coloro che sono ritenuti tra voi i più perfetti, come i monaci e i canonici regolari, bbenché non posseggano queste cose in proprio ma in comune, tuttavia tutte queste cose possiedono.>> Di loro stessi dicono. <<Noi poveri di Cristo, senza una sede stabile, fuggendo di città in città; come agnelli in mezzo ai lupi, siamo perseguitati come furono gli apostoli e i martiri, conducendo una vita santa e durissima nel digiuno e nell'astinenza, pereverando giorno e notte in preghiera e lavori, e da questi ricerchiamo unicamente il necessario per vivere. Noi sopportiamo ciò perché non siamo del mondo: voi invece che amate il mondo, avete pace con il mondo perché siete del mondo>>. 

Questo secondo gruppo ha degli elementi dottrinali che gli storici valutano essere dualistici: alla fine solo gli eretici del secondo gruppo vennero messi al rogo da laici zelanti. Tra  gli anni '50 e '60 del secolo XII inoltre si ebbero vari altri episodi ereticali di stampo dualistico, che preoccuparono le autorità religiose locali a Rouene nella Francia del Nord, a Tolosa, Verfeil e Albi in Provenza e a Colonia in Renania. Mentre nel Mezzogiorno francese Bernardo di Clairvaux cercava di convincere con la predicazione gli eretici che seguivano il monaco Enrico e i cristiani dualisti, altri cinque cristiani dualisti furono scoperti verso il 1143 a Colonia, furono interrogati a lungo dall'autorità ecclesiastica e infien consegati all'autorità secolare. che li bruciò sul rogo. Ecberto di Schönau ne pparlò a lungoo nei Sermones contra catharos  e li dipinse come manichei, ricorrendo alle opere antimanichee di Agostino. 
Nelle condanne a morte di Soissons nel 1114, di Liegi nel 1135 e di Colonia nel 1143 si nota come quelli che all'apparenza sembrano interventi spontanei del popolo per proteggere la vera fede risultino invece conflitti giurisdizionali tra le autorità politiche e quelle ecclesiastiche rivolti a stabilire chi avesse il potere di giustificare gli eretici: i dissidenti non furono impulsivamente messi a morte dalla gente, ma in seguito a decisioni prese meditatamente da chi governava la società.  

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venerdì 28 settembre 2018

L'inquisizione in Italia. I movimenti pauperistco-evangelici. Conversione e coercizione. Pietro di Bruis. Il monaco Enrico. Arnaldo da Brescia

L'INQUISIZIONE IN ITALIA 

I movimenti pauperistico-evangelici



Conversione e coercizione

Il papato che lottava contro re e aristocrazia signorile per la libertà e l'autonomia della Chiesa, stava assumendo sempre più una funzione di guida e supremazia nei confronti di tutta la cristianità occidentale e riuscì a coagulare attorno ai suoi scopi di rinnovamento istituzionale e di impegno interiore una serie di forze vive, come gli ordini religiosi riformati. mentre altri individui e gruppi non accettarono l'egemonia romana e clericale, spinti a questa scelta delel chiusure e incomprensioni di parte ecclesiastica. L'atteggiamento verso i dissidenti divenne sempre più intransigente e violento, Pietro il Venerabile che, pur convinto che la conversione devianti andasse cercata attraverso il ricorso alle autorità bibliche e patristiche e al ragionamento, ammetteva che nei confronti dell'eretico che non riconoscesse l'errore non restasse altro che impiegare la forza dei signori secolari per sopprimerlo. 

Pietro di Bruis

Agli inizi del secolo XII Pietro il Venerabile era preoccupato della predicazione semplice ed evngelica dell' ex prete Pietro di Bruis, che in circ vent'anni aveva raccolto mlti seguaci dal Delfinato e della Provenza, nella Francia meridionale e in Guascogna. Nel Contra Petrobrusianos hereticos l'abate cluniacense sintetizza questa nuova dottrina religiosa in cinque negazioni: rifiuto del battesimo ai bambini, inutilità delle chiese, delle croci, della celebrazione eucaristica dele preghiere per i defunti. Si tratta di una riduttiva qualificazione teologica che tende a sopprimere le motivazioni positive delle scelte petrobrusiane, per l'ex sacerdote la fede dipende da una scelta personale, e quindi è assente nei bambini, anche battezzati; Dio si può pregare allo stesso modo in tutti i luoghi, non solo nelle chiese; la croce è stata strumento di grande crudeltà verso Cristo e perciò non si può venerare. l'ultima Cena è avvenuta una volta sola e gli uomini non possono rinnovarla come sacrificio; i morti hannoo già esaurito la loro esperienza religiosa e quello che fanno i vivi per loro è influente per la loro slvezza. 
L'insegnamento di Pietro di Bruis fu visto come opposto alla tradizione cristiana e il comportamento suo e dei suoi seguaci fu percepito come <<un'ondata iconoclasta e dissacratoria>>. Pietro fu catturato e bruciato sul rogo, tra il 1132 e il 1139. O secondo un'elaborazione successiva, fu catturato mentre appiccava il fuoco a delle croci e poi ucciso. 

Il monaco Enrico

I suoi insegnamenti furono ripresi dal monaco Enrico, che verso il 1116 aveva lasciato il moastero per vivere chedendo l'elemosina e predicando, e che a Le Mans si scagliò, conntro il clero ricco e indegno, trovando molti seguaci tra il popolo e lo stesso clero. Egli proponeva, la redenzione delle prostitute e la scelta libera del matrimonio, non vincolato da interessi famigliari e pecuniari. Si ha notizia i un suo arresto e del trasferimento a un sinodo di Pisa nel 1134 e di un nuovo arresto nel Tolosano nel 1145.Contro di lui intervenne Berbardo, abate di Clairrvaux, accusandolo di eresia e di doppiezza: predicatore di successo di giorno, amante di prostitute e di donne sposate di notte. Si possono intuire i valori evangelici insegnati dal monaco Enrico: ogni cristiano è esponsabile del suo rapporto con Dio; i preti devono vivere in povertà e comportarsi bene, altrimenti i sacramenti perdono di validità; il cristiano ha l'obbligo di insegnare la fede e di amare il prossimo. Ma queste idee venivano percepite come pericolose e disorientatrici perché non rientravano nell'uniformità religiosa proposta dal clero. 

Arnaldo da Brescia


Arnaldo da Brescia 


Anche la perdicazione riformatrice radicale di Arnaldo da Brescia, con la sua esigenza di una Chiesa spirituale, povera e priva della potenza temporale, trovò all'inizio un certo seguito tra le gente delle città in Italia, nella Francia del Sud e nella diocesi di Costanza, e una decisa resistenza da parte delle autorità ecclesiastiche, tra cuui Bernardo di Clairvaux. Nel 1145 Arnaldo si recò in pellegrinaggio a Roma, dove si fermò per diffondere le sue intuizioni religiose. 
Le contestazioni e rivendicazioni di Arnaldo non erano di per sé molto diverse da quelle degli innovatori pienamente accettati dalla Chiesa, tra cuui Bernardo di Clairvaux, per le critiche alla Curia papale e l'esigenza di una vita religiosa povera e coerente con l'insegnamento del Vangelo, ma erano incompatibili con lo sviluppo di un'autorità ponttificia di tipo monarchico e con la subordinazione dei laici al clero. Il sistema ecclesiastico occidentale discriminava l'ortodossia dell'eresia proprio in base a queste formalizzazioni giurdiche, Il papa Adriano IV nel 1155 lanciò l'interdetto su Roma, chiedendo che Arnaldo fosse espulso dalla città. I dirigenti del comune accettarono. Catturato dall'imperatore Federico I, il canonico fu infine consegnato al papa. bruciato come Eretico e le sue ceneri gettate nel Tevere per impedire l'insorgere di un culto popolare sulla sua tomba. 
Questi gruppi pauperistico-evangelici di discreta diffusione locale e di breve durata. che pure proponevano un ritorno al Vangelo e alla povertà dei primi cirstiani, furono percepiti come un'insidia alla società cristiana che si andava strutturando ecclesiasticamente sotto la supremazia papale e contro di loro il clero e gli stessi laici cominciarono a usare prevalntemnte l'eliminazione fisica, quasi sempre con il rogo. 

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mercoledì 26 settembre 2018

La Tortura. L'abolizione della tortura

LA TORTURA

L'abolizione della tortura


Cesare Beccaria 

Il 30 novembre 1786 Leopoldo di Lorena, granduca di Toscana dak 1765 al 1790, promulgò una Riforma Penale con la quale abolì la pena di morte, la tortura e la mutiliazione delle membra. 
<<Abbiamo veduto con qaunta facilità nella passata legislazione era decretata la pena di Morte per i Delitti anco non gravi, ed avendo considerato che l'oggetto della Pena deve essere la soddisfazione al privato, ed al pubblico danno, La correzione del Reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della di cui emenda non può mai disperarsi la sicureza nei Rei dei più gravi ed atroci Delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il Pubblico esempio; che il Governo nella punizione dei Delitti, e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuo sempre a valersi dei mezi più efficaci col minor male possibile al Reo...avendo altresì considerato, che una ben diversa legislazione della pena di morte ha termine l'uso della tortura e della mutilazione delle membra>>. 
A suggello di quanto stabilito nella Riforma, il granduca ordinò <<la demolizione delle Forche ovunque si trovino>>, ed è uno strano e incredibile contrappasso il fatto che finirono al rogo le forche e gli strumenti di tortura, bruciati davanti alla folla in tutta la Toscana, a Firenze, lo spettacolo fu organizzato nelle Prigioni del Bargello. 
Questa legge, trovava la sua isppirazione nelle concezioni filosofiche dell'Illuminismo e soprattutto nell'opera più famosa dell'Illuminismo italiano Dei delitti e delle pene, che Cesare Beccaria pubblicò proprio nel Granducato di Toscana, esattamente a Livorno nel 1764.
La polemica illuminista contro i giureconsulti trovò fertile humus nelle corti europee dei sovrani riformatori. Gli scritti del Muratori, del Verri, del Beccaria e di molti altri riuscirono finalmente  dimostrare l'infondatezza della concezione inquisitoria, secondo la quale la tortura è uno strumento indispensabile per ottenere presunte verità, con il quale si può agevolmente piegare il suddito a volere del potere, quale che sia. Il processo inquisitoriale venne quindi ritenuto un luogo dove non poteva esistere la certezza della legge e dove l'arbirio dei giudici era l'unico modo per assicurare il colpevole alla giustizia.
Nello Stato pontificio questo istituto decadde solamente con l'arrivo dei rivluzionari francesi nel 1799, per essere ripristinata subito dopo la loro cacciata; nell'opinione dei giuristi pontiici la tortura era l'ultimo baluardo contro il disordine dei <<tempi nuovi>>. Quella dello Stato della Chiesa era tuttavia una battaglia persa, poiché l'incalzare delle riforme avrebbe portato Pio VII a promulgare il Motu Prorio del 6 luglio 1816, a seguito dell'Editto del 5 luglio 1815 nel quale affermava: <<In una gran parte dei domini distaccati da lungo tempo dal Pontificio governo, il ripristino degli antichi metodi si rende pressocché impossibile o tale almeno, che non possa attenersi senza un notevole disgusto delle popolazioni. Nell'articolo 96 il papa stabiliva: <<L'uso dei tormenti e la pena della corda... rimangono perpetuamente aboliti>>. 
Nelle osservazioni sulla strutura e sinngolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno  1630. Pietro Verri mette in luce i limiti di una concezione del diritto arbitraria e irrazionale attraverso lo studio di documenti relativi alla pestilenza del 1630.Secondo la vox populi la malattia era dovuta a: sicari incaricati di spargere il morbo, usando unguenti infetti. Le prime vittime di questa folle idea furono due cittadini che, sottoposti a tortura, confermarono la loro presunta colpa e i nomi dei complici. Verri rivela come la tortura non sia affatto valida per appurare la verità, ma consenta l'assoluzione del colpevole nel caso in cui costui possieda doti di resistenza al dolore notevoli, e vicceversa porti alla condanna di innocenti che non resistono ai tormenti o hanno una debole costituzione fisica. 
La Storia della colonna infame del Manzoni, che approfondisce le motivazioni del rifiuto della tortura sottolineando, anchhe l'aspetto sociale del problema: su dieci accusati, cinque vengono condannati, gli altri assolti perché favoriti da una migliore condizione sociale. Ma il rischio più grave è che il toerturato, per terrore, incolpi degli innocenti pur di fsr cessare la tortura. Si innesca un circolo vizioso che non porta a ricostruire la verità dei fatti. quindi annulla l'originaria motivazione del processo inquisitorio. 
Naturalismo e uguaglianza sono alla base Dei delitti e delle pene. Secondo Beccaria il diritto autentico e la politica morale durevole devono, infatti essere fondati su <<sentimenti indelebili dell'uomo>>; sono pertanto inutili la tortura e la pena di morte mentre le pene devono essere pubbliche, rapide e dolci per non scatenare la ferocia della folla. 
In particolare Beccaria si scaglia contro la pena di morte, considerato il massimo grado di inciviltà al quale può giungere uno stato civile, e contro la tortura. Se ilcompito della giustizia è la punizionde delle ingiustizie e la cattura dei colpevoli, la tortura fa l'esatto opposto perché colpisce tanto i criminali quanto gli innocenti, costrngendoli con la forza ad ammettere delitti dei quali, possono anche non essere gli autori, ed è evidente a chiunque che sotto tortura anche un innocente finirà per confessare reati che non ha commesso pur di porre fine al supplizio. La tortura è ingiusta perché finisce per essere una punizione che si applica prima della condanna: nessuno può essere definito reo prima della sentenza del giudice. 
E, una volta sottoposto a tortura, l'innocente è in una condizione peggiore del reo: infatti l'innocente, se viene assolto dopo avere subito la tortura, ha subito un ingiustizia, ma il reo  chi ha solo guadagnato, peché è stato torturato ma, non avendo confessato, è risultato innocente e si è salvato da pene ben più gravi. Dunque l'innocente non può  che perdere e il colpevole guadagnare, nel caso in cui venga assolto. Lo scritto del Beccaria venne stampato anonimo e, gli vennero molte critiche, soprattutto da parte della Chiesa cattolica, che nel 1766 inserì l'opera nell'Indice dei libri proibiti con questa motivazione: <<Autore del Trattato Dei delitti e delle pene. Carattere stravagante, borioso, il Beccaria ispirò il libro delle idee filantropiche e umanitariste del tempo, difendendo gli accusati a torto, le vittime degli errori giudiziari. Filosoficamente il trattato deriva dal Contratto Sociale del Rousseau...La tendenza al paradossale, al sensismo, la esaltazione dell'individuo contro la società, che è sempre imperfetta e tiranna le idee quindi dell'89, se esaltarono Beccaria, fecero però il suo libro riprovato, e dalla Chiesa condannato>>.

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lunedì 24 settembre 2018

La tortura. La tortura secondo i manuali inquisitoriali. Il castigo come espiazione dei peccati

LA TORTURA

La tortura secondo i manuali inquisitoriali

Il castigo come espiazione dei peccati



Comune alla storia della Chiesa fin dal tempo dei flagellanti, la punizione corporale parte da un disprezzo della corporeità che ha radici molto antiche. Occorre mortificare la carne, vivere sul proprio corpo la passione di Cristo, <<stracciare>> questa veste esteriore che si distrugge e marcisce, per giungere <<assottigliati>>, purificati, quasi spiritualizzati in cielo. 
Anche la tortura viene considerata un mezzo per salvare l'anima, che avviene solo dopo la confessione, il pentimento, l'abiura, elementi che non danno adito a salvazione fisica. 
Il Mereu:<<Qui la tortura è trasformata in un solvente miracoloso e salvifico che, aiutandoci a guardare in noi stessi, ci libera dal peccato. In questo senso l'opera della Chiesa diviene "benigna" la sua crudeltà si trasforma in "mansuetuudine!, e l'opera dell'inqiìuisitoria meritoria e benevola. La tortura è tramutata così in uno strumento pio, e da mezzo primitivo e infantile d'indagine diventa un tabù miracoloso che basta provare per essere salvi. 
Per il Masini, per sottoporre una persona a tortura dovevano esserci gli indizi, che però sono talmente arbitrari: <<...dire indizio è comme dire sospetto, e tutti gli aggettivi che sono attribuiti al termine base hanno un significato solo se li riferiamo al lemma portante. Un indizio è "bastevole", "chiaro", "sufficiente", solo quando risulta tale all'inquisitore. Non c'è altra possibilità di confronto o di verifica. E' solo lui che decide>>. 
L'inquisitore può decidere il numero degli interrogatori, la loro frequenza e durata, il tipo di tortura e di incarcerazione. Trattando poi in dettaglio il problema della tortura, il Masini come prima cosa nota che l'inquisitore deve essere chiaro e preciso, deve andare diritto al suo scopo - ottenere la confessione - senza perdersi in giri di parole: <<Se dunque il Reo negherà d'aver bestemmiato ereticalmente o percosso le sacre immagiini, e dovrà per ciò essere torturato, si farà venire al luogo dell'esamina, e datoglisi il solito giuramento di dir la verità si esaminerà con modo, e forma divina da quella con la quale altre volte avanti la tortura è stato esaminato; atteso che non dovranno i giudici con lunghe circuizioni di parole e interrogazioni pigliate di lontano con esso lui procedere, ma discender solitamente al negozio del quale si tratta nella forma appuunto che segue...>>
Il Masinii scrive con la massima precisione la diverse modalità. Lo schema è codificato, secondo la famigerata <<griglia>> che non permette al condannato una libera confessione, ma solo di rispondere negativamente o affermativamente a domande già prefissate. Secondo il Masinni è necessario seguire lo schema seguente: 
- data dell'interrogatorio
- presenti all'interrogatorio: vescovo o vicario episcopale. 
- generalità del torturato
- giuramento di dire la verità
- esortazione degli inquisitori a dire la verità
- minaccia della tortura
- tortura

Nel corso dell rigoroso esame <<...procureranno i Giudci che il Notaro scriva non solamente tutte le risposte del Reo, ma anco tutti i ragionamenti e moti che farà e tutte le parole che egli proferirà né tormetnti, anzi tutti i sospiri, tutte le grida, tutti i lamenti, e le lacrime che manderà>>.
Un esempio di <<tartufismo>> giuridico viene evidenziato dal Mereu: <<E i dottori di nuovo l avviseranno perché dica la verità e non acconsenta d'esser ancora tenuto sotto i tormenti>>.
Masini: <<E se il reo avvenga con animo di non dir la verità, rispondesse: <<Mettetemi giù che voglio dir ogni cosa" - il che si avrà a notare nel processo - dovranno i Giudici istare che comincii a dire la verità; e poi sarà messo giù. E se pure andrà replicando che lo depongano, che la dirà, ancorché similmente non avesse animodi dirla, si potrà far deporre e preoseguire in questo modo: - Allora i Signori, data la promessa suddetta e solo per l'effetto suddetto ecc., con l'intenzione tuttavia ecc. ordinarono che il Costituto fosse piano piano liberato dalla tortura e fatto sedere in uno scanno di legno. Fu messo giù e fatto accomodare su uno scanno di legno. Chiestogli di dire, la verità promessa, rispose ecc. - E' ammonito di recedere da tali sotterfugi e di dire la verità promessa, perché altrimenti si continuerà con i tormenti e sarà tirato su con la corda, rispose ecc. 
<<E persistendo egli ad ogni modo nella negtiva, si terminerà l'esamina così: E poiché non si poteva ottenere niente altro da lui, i Signori ordinarono che il Costituto fosse piano piano deposto dalla fune, slegato e rivestito, e che gli fossero liberate le braccia, e poi che fosse ricondotto in cella, essendo stato alzato nella tortura per mezz'ora, calcolata con la clessidra...>>
L'imputato deve iniziare la sua confessione, se vuole che la tortura cessi. 
A proposito dell'espressione <<bracchia reaptari>>, il Mereu traduce con <<gli fossero rimesse a posto le braccia>>, che rende maggiormente l'idea della disarticolazione dovuta alla sospensione. 
La tortura viene effettuata a più riprese. Nel paragrafo intitolato modo di ripetere o continuare i tormenti il Masini scrive: <<Conviene anche talvolta, e per l'atrocità del delitto, e per la gravità degli indizi e per altri importanti sospetti, ripetere o continuare la tortura; e perciò dovranno in tal caso i Giudici nel fine della prima esamina rigorosa far aggiungere dal Notaro quella clausula: con l'animo tuttavia ecc., che appunto significa in essi Giudici animo di continuare detta tortura. E oltre a ciò avvertiranno che lo stile del Santo Officio è di ripeterla il giorno che immediatamente segue appresso la prima tortura e di non passare ordinariamente la metà dell'ora, cos' nell'una come nell'altra...>>. 
La confessione non è una garanzia per il torturando: <<...La tortura all'imputato veniva inflitta per tre ragioni: 
- per conoscere il fatto;
- per approfondire di più la conoscenza del fatto (<<pro ulteriore veritate>>);
- per conoscere l'intenzione con cui quel fatto era stato compiuto <<super intentione>>. 

L'imputato è torturato per conoscere la realtà dei fatti. 
Il Masini scrive a proposito, il paragrafo intitolato Modo di esaminare il Reo né tormenti per ulteriore verità e circa l'intenzione. 
<<Se il reo avani la tortura avrà confessato parte dei delitti appostigli, e d'altri resterà convinto e indiziato rispettivamente, avendo già, quanto alle cose confessate e provste, negata la mala credenza, dovranno darglisi i tormenti sopra le cose delle quali resta indiziato e anco sopra l'intenzione, o credenza, intorno all'altre già provate e confessate; e in simil caso converrà che i Giudici facciano la protesta che non gli si dà la tortura, se non per ulteriore verità e cerca l'intenzione, senza alcun pegiudizio per ulteriore verità e circa l'intenzione, senza alcun pregiudizio delle cose da lui già confessate e delle quali è convinto, e tal protesta non è solamente utile, ma anco necessaria...>>.
Se l'imputato ritratta le cose che ha confessatoo sotto tortura, il notaio non deve scrivere la ritrattazione come se fosse seguita a un interrogatorio dei giudici. Ciò che è stato verbalizzato ed è dato per acquisito prima della tortura non può più subire variazioni: <<...se il Reo, ancorchhé confesso e pienamente convinto, senza detta protesta negasse in tortura il fatto, come pure talvolta occorre, e in detta sua negativa persistesse, dovrebbe andarsene assoluto.>>
L'imputato deve ratifcare dopo ventiquattro ore la confessione fatta sotto tortura. 
Nel paragrafo Mododi ricevere dal reo la ratificazione delle cose da lui confessate nei tormenti il Masini scrive: <<Ma se egli ricuuserà di ratificarla, anzi si sforzerà di rivocarla, dovrà di nuovoe esser posto alla tortura, acciò ritorni alla già fatta confessione , ancorché altri indizi non soopravvenissero, essendo bastevole ikk nuovo indizio creato dall'antecedente confessione in tortura>>. 
La tortura, sia minacciata sia effettuata era una componente quasi indispensabile dei processi inquisitoriali; la sua presenzaera considerata normale, anzi di grande utilità. Dovranno trascorrere secoli, nascere nuove terie politiche, scoppiare rivluzioni prima che si giunga alla definitiva abolizione della tortura, e i macabbri strumenti divengono oggetti da collezione. 
A nulla sono valse le proteste dei personaggi del mondo della cultura, da Gian Luigi Vives (1492-1540) alle opere di J. Schaller: Paradoxon de tortura in Chrristiana republica non exercenda (1657); A. Nicolas: Si la torture est un moyen seur a vérifier les crimes secrets (1682); J. Graefe: Tribunnal reformatum (1624) e C. Tomasio: De tortura ex forsi Christianorum proscribenda (1705). Si è dovuto attendere l'avvento dell'Illuminismo, la condanna di Montesquieu in L'esprit de loix, l'opera di Beccaria Dei delitti e delle pene fino alle Osservazioni sulla tortura del Verri per ottenere una prima abolizione, a opera di Federico II di Prussia, con due distinti provvedimenti legislativi datati 1740 e 1754. 

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sabato 22 settembre 2018

La tortura. La tortura secondo i manuali inquisitoriali. Il sacro arsenale

LA TORTURA

La tortura secondo i manuali inquisitoriali

Il sacro arsenale



L'opera di frà Eliseo Masini, pubblicata per la prima volta a Genova nel 1665, consta di dieci parti o capitoli. 
La prima, Dell'autorità, dignità e officio dell'Inquisitore, e delle persone contro alle quali procede il Santo Officio, si apre con la definizione della carica di inquisitore: colui che, immediatamente  delegato dal papa, ovvero in possesso di una patente che gli permette di svolgere l'attività inquisitoria. possiede una dignità e un'autorità molto grandi. 
Il Masini esemplifica questo concetto enumerando molti inquisitori, nel corso della storia, partendo da Dio stesso, chhe punì Adamo ed Eva, Israele ed altri idolatri, citando Salomone, il patriarca Giacobbe, Saul che cacciò maghi e indovini, giungendo fino a Cristo, Pietro Apostolo, il predicatore Domenico, Pietro da Verona, infine Pio V. 
L'inquisitore può procedere contro ogni tipo di persona, popolani o potenti, nobili, secolari o ecclesiastici, vivi o morti, per il mantenimento della fede cattolica e <<l'accrescimento della gloria di Dio>>, confiscando i beni, annotazione che Masini mette al primo posto, prima di continuare la sua enumerazione con <<privazioni d'onore e dignità>> e pene definite temporali. 
E' in potere dell'inquisitore, oltre che condannare o assolvere, far incarcerare, scomunicare e torturare. In particolare egli deve far leggere l'Editto Generale del Sant'Uffizio. 
Paragonando l'eresia alla peste, Masini sottolinea l'importanza della denuncia: chi non rispetta questo editto cade in peccato mortale; ha 12 giorni di tempo per porvi rimedio e sarà scomunicato ipso facto. I delatori dovevano incontrare parecchio biasimo, se il Masini si preoccupa di sottolineare che essi non devono temere il disprezzo o la nomea di <<spie del Santo Officio>>, poiché la ricompensa che avranno in Cielo sarà grande. Egli nota anche che tutto deve essere il più segreto possibile. 
L'inquisitore, riceve un <<premio>> già in terra, senza attendere di giungere in cielo, ed è l'indulgenza plenaria che gli è comunicata <<per ciascun atto perfetto>> ad esso compiuto in difesa della fede. Anche gli altri ufficiali del tribunale, i notai, i fiscali, i consultori e i vicari godono di simili indulgenze plenarie; indulgenze di tre anni ricevono invece coloro che denunciano eretici, sospetti o diffamati d'eresia, coloro che aiutano gli inquisitori e li difendono. 
L'inquisitore deve mettere da parte ogni interesse personale e privato, poiché, nell'espletamento delle sue funzioni, egli difende, vendica e conserva <<l'onore e la riputaione dell'istesso Dio>>. 
L'inquisitore deve procedere contro diversi tipi di persone: i colpevooli d'eresia, coloro che predicano, scrivono, insegnano cose contro le Scritture, gli articoli di fede, i sacramenti e i riti, i decreti dei concili e le determinazioni dei papi, l'autorità del pontefice, le tradizioni apostoliche, il purgatorio e le indulgenze; i convertiti ad altre religioni e coloro ce sostengono che la sola fede salva; i sospetti d'eresia, cioè coloro che, sebbene non le usino, conoscono pratiche stregoniche che abusano di ostie, olio santo, calamite eccetera; coloro che leggono libri posit all'Indice, che sporcano o rompono immagini sacre, che rispettano i dettami alimentari e la precettistica cattolica sulle festività; coloro che non si confessano e non vanno a messa; gli adulteri e i concubinari, i mentitori; persino chi è stato diffamato come eretico dalla vox populi, i complici degli eretici, coloro i quali difendono e aiutano gli eretici stessi, alloggiandoli o nascondendoli, parlando o scrivendo ai carcerati, mandando loro oggetti, denaro, lettere; coloro che distruggono prove o incartamenti processuali; infine chi non depone contro gli eretici in tribunale, i maghi, le streghe e simili, cioè coloro che hanno stretto un patto col diavolo, che tengono demoni prigionieri in anelli, specchi, ampolle e altri oggetti, che partecipano al sabba, che compiono sacrifici al demonio, che lo adorano e l'invocano per avere poteri o per conoscere il futuro; coloro che recitano preghiere <<per farsi amare d'amore disonesto>>; chi porta con sé talismani, e compie malefici per impedire l'atto matrimoniale e altri sortilegi; i bestemmiatori che proferiscono bestemmie ereticali, che contengono cioè articoli di fede, che negano a Dio i giusti titoli e lo insultano, che non riconoscono la verginità di Maria o la santità dei santi; e che rinnegano i sacramenti; gli oppositori del Sant'Uffizio: coloro cioè che offendono gli ufficiali, notai, cancellieri eccetera e ai delatori, percuotendoli o minacciandoli; coloro che levano gli editti dai luoghi nei quali sono stati affissi e che rubano oggetti apprtenenti al tribunale; gli ebrei e gli infedeli, i primi sono punibili nel caso invochino o consultino deboli, bestemmino la santità di Cristo o la verginità di Maria, unducano un cristiano a convertirsi o impediscano a un infedele la conversione, conservino il Talmud e altri libri giudaici proibiti, tengano serve o nutrici cristiane.  
La seconda parte Del modo di formare i processi ed esaminare Testimoni e Rei. Appena l'inquisitore viene a conoscenza dell'esistenza di uno dei delitti enumerati nella parte precedente deve istituire un processo scritto. Il processo può avvenire in seguito a una denuncia; in questo caso non è affatto necessario che il denunciante provi quallo che denuncia, egli deve solo giurare sul Vangelo di non dire il falso. I dati anagrafici del delatore sono scritti. 
Si distingue se è testimone del delitto de vesu o de auditu. Se vi sono altri testimoni che possano confermare la sua deposizione, gli si chiede di precisare il più possibile luogo, ora e circostanze del delitto, dati anagrafici e descrizione fisica del reo. Si chiede al denunciante se sia stato spinto da odio nei confronti dell'accusato, se vi siano state, anche in passato, rivalità e liti, e se si confessi regolarmente e si comunichi almeno una volta all'anno. Il denunciante è tenuto a rispettare il segreto su ciò che ha fatto. 
Un secondo modo di istruire un processo è per via inquisitoriale: quando cioè non c'è nessuna delazione, ma <<corre forma e pubblica voce>>. L'inquisitore può chiamare a testimoniare chiunque. 
Quuando il processo è istruito, l'inquisitore deve iniziare a interrogare i testimoni, che vengono citati e registrati, dando loro un tempo per rispondere alla citazione. E' possibile che l'inquisitore vada personalmente a casa di testi potenti o donne nobili. Al testimone viene sempre chiesto se egli sa il perché sia stato convocato e il perché. In caso di rsiposte evasive il testimone è ammonito a dire la verità, specificando che in caso di falsa testimonianza è prevista la scomunica. 
L'inquisitore deve anche osservare ed esaminare il corpo del delitto, qualora ne esista uno, registrando per iscritto. 
Nel caso in cui il reo sia imprigionato, l'inquisitore lo interroga circa il motivo della sua carcerazione, se egli lo conosca o menno, si informa delle voci che corrono sul suo conto e sulla sua pubblica reputazione, lo informa che vi sono testimonianze contro di lui, sena però specificare le persone, lo ammonisce, lo si interroga se abbia qualche nemico che potrebbe denunciarlo per interesse. Nel corso dell'interrogatorio vengono annotate le risposte, i movimenti, le reazioni fisiche quali pallore o rossore. titubanza contraddizioni, imbrogli di parole. 
Se il reo confessa e fa i nomi dei complici, lo si rimanda in carcere in attesa di un nuovo interrogatorio e si provvede alla citazione dei complici, se confessa un delitto di eresia, lo si interroga sulle attuali credenze, se sia pentito o meno. Se vi sono dei complici, essi si possono mettere a confronto in un semplice interrogatorio o si fa assistere uno alla tortura dell'altro. E' possibile anche porre a confronto il reo con testimoni che non sono complici, e nel caso sussistono dei pericoli per i testimoni, essi possono essere mascherati o riconoscere il reo guardando attraverso fessure, in modo da non essere scoperti e riconosciuti. 
La terza parte, Come abbiano ad esaminarsi gl'Eretici formali, si apre con l'interrogatorio di coloro che, denunciati, sono stati trovati in possesso di libri proibiti, o che, nella loro casa, avevano manoscritti ereticali redatti di loro pugno. Si può procedere a una perizia calligrafica, o su manoscritti trovati in casa del reo o facendogli scrivere alcune cose per confrontarle con i reperti. Nel caso di libri, l'inquisitore chiede dove sono stati presi, quando, per quanto tempo sono stati conservati e se qualcun altro li abbia letti, eamina le credenze del sospettato in materia di fede e precettistica religiosa. 
La quarta parte Del modo di formare il processo ripetitovo e deifinitivo: una volta esaminati tutti i testimoni, se l'imputato continua a negare le accuse l'inquisitore gli accorda la facoltà di parlare con un avvocato difensore nominato dallo stesso Sant'Uffizio. Il procuratore fiscale trae, dalle testimonianze, una lista di capi d'accusa, copia della quale sarà esaminata dall'avvocato difensore, che può provvedere a citare altri testimoni e a controinterrogare gli accusatori. Anche l'accusa in un secondo tempo interrogherà i testimoni citati a difesa dell'imputato. 
Nella quinta parte, Modo di formare le citazioni, Precetti, Decreti, securtà e altre cose simili il Masini continua a esemplificare praticamente come deve essere condotto il processo e come deve essere redatto il verbale. 
La sesta parte Del modo di interrogare i rei nella tortura. Nel caso in cui un indiziato non sia riuscito a trovare elementi a sua discolpa, è necessario sotttoporlo alla tortura, per appurare la verità. Masini premette a questa delicata trattazione che non si deve esporre alla tortura una persona contro la quale non vi siano indizi. L'indiziato viene interrogato nuovamente ma con una prassi maggiormente negativa, e viene ammonito che <<non gli resta alcuna possibilità di negare>>. Nel caso in cui l'imputato si ostini a non confessare, i giudici lo invitano a cominciare a dire la verità, poi sarà deposto. Quando l'imputato avrà confessato il fatto compiuto, l'inquisitore procederà a torturarlo sull'intenzione. Masini specifica che è necessario avvertire il reo che <<non gli si dà la tortura, se non per ulteriore verità e circa l'intenzione>>. Ogni confessione che l'imputato fa viene seguita da una nuova tortuta circa il fatto se credesse o no in quello che faceva, i complici e altre eresie nelle quali avrebbe potuto credere. 
Nel caso in cui l'imputato, per difetti fisici o <<per evidente minorità di anni>>  non possa reggere il supplizio della corda, si può procedere all tortura con altri tipi di tormenti, quali ad esempio quello del fuoco, o quello delle stanghette, o delle cannette, delle bacchette. Il primo consiste nello spalmare i piedi dell'imputto di lardo, di imprigionarglieli in ceppi e di avvicinare un barciere con <<un bel fuocherello ardente>>; nel caso egli voglia confessare s'interrompe il supplizio. Il secondo, detto della stanghetta, consiste nel far prostrare a terra l'imputato denudandogli il tallone, che viene imprigionato tra due tasselli si legno concavi, che vengono compressi girando una stanghetta; il principio è quello della garrota, il risultato è la rottura dell'osso e la conseguente storpiatura del piede. Simile è il tormento dei sibilli o delle cannette, tasselli che si introducono tra le dita delle mani. Esiste una tortura <<concessa>> ai minori: la bacchetta, una sorta di fustigazione, che il Masini pervede per <<i fanciulli, che però trapassino il nono ano della loro età>>. 
Nel caso in cui un imputato accusi qualche difetto fisico non visibile o non conosciuto dai giudici, l'inquisitore ha la facoltà di chiamare un medico o un chirurgo che visiti il reo e rilasci una certificazione sulla torturabilità o meno e in che modo possa egli sopportare la tortura. 
Masini nota come sia <<stile>> del Sant'Uffizio torturare ogni giorno l'imputato, per non più di mezz'ora. Se il reo confessa nei tormenti, deve poi ratificare quanto detto il giorno successivo. Non si chiede di ripetere all'imputato cosa egli abbia confermato, ma si chiede solamente di confessare quello che il notaio ha scritto, e che viene riletto. 
Non è possibile uscire dalla griglia processuale così bendefinita dall'inquisitore, che prevede alle domande solo una risposta, affermativa o negativa. L'imputato non è mai libero di esporre i fatti, deve solo confessare se è vero che ha fatto questo o quest'altro, se ha detto qesto, se ha visto quello eccetera. 
Al vanto delle benignità del Sant'Uffizio il Masini nota che la tortura è ad arbitrio dell'inquisitore, a seconda della causa, della gravità degli indizi, delle condizioni della persona, inoltre non sono permessi gli <<isquassi>> con la corda, pesi o bastoni ai piedi, inoltre non è consentito torturare i rei con fame, sete e inedia. 
Anche per i testimoni è prevista la tortura, nel caso essi siano <<contrari, vaciillanti>>, vaghi eccetera, ma detta tortura deve essere <<assai leggiera e moderata>>. 
Del modo di procedere contro i Poligami e alle Streghe nel Santo Tribunale. 
Per quanto riguarda il primo delitto è necessario avere innanzitutto certezza del matrimonio, consultando i registri matrimoniali delle parrocchie o testimoni, e consatatare la sopravvivenza del primo coniuge. Questo sia per il primo sia per  il secondo matrimonio, poi vengono convocati i coniugi e incarcerato il poligamo. Ovviamente è prevista la tortura per chi non confessa. 
Per quanto riguarda le streghe, Masini premette che la materia è difficile e <<intrigata>>. L'inquisitore non deve incarcerare né torturare la strega, se prima non ha le prove delitto, cioè il maleficio; nel caso si tratti della morte di qualcunodevono essere interrogati i medici che lo hanno curato, la sola denuncia dei parenti del maleficiato o dello stesso non basta, così come è insufficiente la malafama; è necessario perquisire la casa della strega, annotando anche se possegga cose che tornano a suo favore quali immagini di santi, corone della Vergine, acqua santa, palme benedette eccetera, e non devono essere ammessi i parenti del maleficiato alla perquisizione, perché potrebbero inficiare le prove con falsi reperti; nel caso vengano trovati unguenti, polveri, grasso e cose simili, devono essere esaminati da esperti, per ecludere che servano ad altre cose; non sono da considerarsi i grovigli di lana o penne trovati in materassi o cuscini a casa del maleficiato, né aghi; infine non si deve condannare per stregoneria chi confessa di aver fatto sortilegi a scopo amatorio o per vincere malefici. 
E' necessario che le streghe in attesa di giudizio siano tenute separate le una dalle altre e non parlino con nessuno, né fra di loro, né con i carcerieri, non si devono radere loro i capelli e non si deve tener conto del fatto che non piangano sotto tortura: questo era uno ddegli indizi, che secondo Sprenger e Institor, permettevano di identificare una strega. 
Del modo di terminare i processi del Santo Officio, Masini tratta del modo di formulare le sentenze. Nel caso in cui l'imputato sia innocente viene assolto e liberato. Nel caso in cui manchino le prove o siano insufficienti le testimonianze, è prevista la <<purgazione canonica>>: nel caso di sospetto lieve deve essere prodotta una discolpa canonica di almeno quattro persone o dello stesso ordine, o monaci o canonici, mentre per il sospetto grave le persone devono essere sette. I testimoni purgatori dovranno ascoltare il giuramento d'innocenza del sospettato e rettificarlo in privato all'inquisitore. Nel caso di proposizioni eretiche l'imputato è tenuto a ritrattarle. L'inquisitore commina digiuni e simili penitenze che sono registrate dal notaio.
Nel caso in ci l'imputato sia colpevole ma non nell'intenzione si procede all'abiura e alla sospensione della scomunica. 
Nel caso in cui l'imputato sia colpevole, ma pentito, o colpevole o impenitente lo si consegna al braccio secolare. Ciò avviene anche in contumacia. 
Nel caso si tratti di persone defunte, si condanna la loro memoria, si dissotterrano i resti, si bruciano sulla pubblica piazza e se ne disperdono le ceneri; parimenti anche eventuali statue del reo vengoono - dal braccio secolare - bruciate o distrutte.
La nona parte riguarda il Modo di formar le Patenti per gli Ufficiali, dar loro il giuramento di fedeltà, propor le cause nella Congregazione e assolvere i rei dalla scomunica del Santo Officio. Pur credendo che agli inquisitori non manchino <<forme bellissime per farne ai loro ufficiali graziosissime patenti>>, il Masini ne presuppone alcune standard er i procuratori fiscali, i consultori, i notai, il vicario generale, i vicari foranei, gli avvocati dei rei, gli ufficiali generici, i sua sponte comparenti. 
La decima parte contiene avvertimenti utili e necessari ai Giudici della Santa Inquisizione, in numero di trecento fra i quali è interessante notare, ai fini della nostra ricerca, i seguenti: 
I-Il testimone che, sotto tortura, depone su un delitto commesso da un altro è indizio sufficiente alla cattura dell'altro. 
III-I complici di un eretico non devono essere sottoposti a tortura, poiché, per terrore di quella, potrebbero non deporre. A volte invece si tormentano i compici per i delitti altrui e <<per togliere l'infamia>>. 
XXXI-Si possono far abiurare i maschi dai quattrodici anni in su e le femmine dai dodici. 
XLIV-Nel torturare gli imputati il giudice deve procedere con moderazione, e avere sempre sottomano la clessidra per non perdere la cognizione del tempo; inoltre non può troturare nessuno, se non dopo nove o dieci ore dall'ultimo pasto dell'imputato. 
LXXIII-Non deve meravigliare se, dopo la cercerazione e la tortura, nel caso di rilascio, l'imputato debba ugualmente pagare le spese del processo e della sua carcerazione. Se il reo è giustiziato, la famiglia deve provvedere inoltre alla <<parcella>> del boia e alle spese per il rogo, il patibolo eccetera. 
CXXXV-La confessione estorta con la tortura va ratificata in piano. Similmente quella ottenuta per paura della tortura. 
CXXV-I testimoni, sia maschi sia femmine,non possono avere meno di quattordici anni, 
CXXVI-Quando si sottopone qualcuno alla tortura, bisogna iniziare dai più sospetti, dalle femmine, poiché la donna è <<più timida e incostante>> e, nel caso fossero tutti maschi, dal minore e più debole. 
CXXXV-Nel caso di tortura a un testimone che nega di avere visto, non gliela si dà a proprio carico, ma a carico di altri, come se si stesse torturando il reo. Ugualmente nel caso di persona confessa, che testimonia contro altri complici. 
CXXXIX-La deposizione di un complice contro un altro, avutasi sotto tortura, deve essere ratificata in piano. 
CXLI-Se una strega depone sotto tortura contro un'altra, dicendo di averla riconosciuta nel sabba, la deposizione non dà luogo a indizio né a tortura della seconda, per la illusoreità del sabba stesso. 
CXLV-Se con la tortura un imputato ha purgato i sospetti che erano contro di lui, nonviene assolto, ma semplicemente lasciato andare. 
CLII-Un solo testimone se depone circa un fatto e non solo un indizio, può dare luogo alla tortura. 
CCXXVIII-L'inquisitore non può torturare un imputato per eresia senza il vescovo, né il vescovo senza l'inquisitore. Nel caso invece avvenga ciò, la confessione estorta sotto tortura è nulla, anche se ratificata in piano. 
CCXLIX-Si dice avere confessato sotto tortura anche di colui che, giunto sul luogo dei spupplizi, per paura, abbia confessato senza essere fisicamente torturato. 
CCL-Nel caso un imputato sostenga che, nonstante la tortura, non confesserà niente, perché innoocente, egli deve essere comunque torturato. 
CCLII-Nel caso in cui l'imputato comfermi sotto tortura, poi dica di avere sbagliato, può revocare la confessione e rettificarla. 
CCLIII-Se un accusato spontaneamente si offre alla tortura per provare la sua innocenza, il giudice non può torturarlo: <<Se alcuno incolpato di delitto, non però indiziato a tortura, spontaneamente s'offerisce ai tormenti, dicendo "io non ho commesso questo delitto e m'offro di voler star saldo alla tortura: datemi la corda" può il Giudice esporlo ai tormenti giacché il Reo così vuole? Non può in modo alcuno. Prima, perché un uomo, per libero che sia, non è però padrone delle sue membra>>. 
CCLIV-La tortura alla quale so sottopongono accusati e testimoni per accertare l'esistenza di un delitto, non essendo una pena, non arreca infamia. 
CCLVII-Se un imputato nomina sotto tortura un complice, questo può essere sottoposto alla tortura. 
CCLX-La confusione ottenuta con la minaccia dei tormenti è valida, in quanto la paura della tortura non è sufficiente a muovere una confessione. 
CCLXI-Alla tortura non deve essere presente l'avvocato difensore.
CCLXXI-Un testimone infame, quantunque possa deporre, non dà indiizio sufficiente per poter torturare. 
CCLXXII-Se contro l'imputato ci sono indizi dubbiosi il giudice deve sottoporlo a tortura. 
CCLXXXI-Quando il delitto è noto, non c'è bisogno di tortura. 
CCLXXXV-Se un accusato torturato e poi rilasciato, dopo un certo lasso di tempo sarà richiamato dl giudice e comparirà spontaneamente confessando che la precedente volta ha confessato solo per i supplizi, la sua confessione verrà ritenuta spontanea. 
CCLXXXVI-Tutte le attenuanti che possono impedire la tortura nei delitti normali non sussistono per il delitto di lesa maestà, cioè eresia. 

A qualsiasi persona del XVI, XVII secolo la tortura doveva parere assolutamente normale. Autorizzata da Papa innocenzo VI, nella bolla Ad extirpanda del 15 maggio 1252, pur con l'aggiunta <<citra membri diminutionem et mortis periculum>>, la tortura era giudicata indispensabile da molti canonisti e inquisitori, Bernardo Gui, che nella sua Practica dice espressamente che i rei <<detinendos per annos plurimos ux vexatio del intellectum>>, cioè sono da tenere in carcere pe molti anni, affnché il tormento illumini loro l'intelletto. Questi <<uomini di Dio>>, considervano la tortura come semplicemente una parte del processo, necessaria, calcolata, con scemi e modalità già prefissate e canoniche, una pratica burocratica e nulla più. Il fine della tortura è la confessione di qualcosa che è già stato fissato nelle griglie del verbale, un'occasione già confezionata alla quale il torturato dever sipondere solamente sì o no. 
Esiste una precisa regolamentazione burocratica della tortura, che consiste nella bolla Multorum querela di Clemente IV. 
- L'inquisitore deve accrdarsi con il vescovo per poter sottoporre a tortura un indiziato. 
- Ambedue, vescovo e inquisitore, devono assistere alla tortura dell'indiziato. 
- In caso di disaccordo o per personalità importanti, religiosi, letterati, nobili, ricchi, doveva essere informato il Supremo Tribunale della Santa Inquisizione a Roma. 
- Era facoltà del torturato inoltrare appello, che però poteva essere bloccato dall'inquisitore, se questi era in accordo con il vescovo. 

Se si escludono queste poche formalità, possiamo però notare che l'innquisitore poteva ordinare la tortura solamente in base a un sospetto. 
Il sospetto, sia dè levi sia de vehementi, può dare aditoa tortura, basta che ci sia un indizio. 
Il Masini scrive nella sesta parte dell'Arsenale, intitolata nel modo d'interrogare i rei nella tortura. 
<<Avendo il reo negati i diritti oppostigli e non essendosi essi pienamente provati, s'egli nel germine assegnatogli a far le sue difese, ad ogni modo non avrà purgato gli indizi che congro a lui risultano dal processo, è necessario, venir contro di lui alla rigorosa esamina; essendo stata appunto ritrovata l tortura per supplire al difetto dè testimoni, quando non possano intera prova apportare contro il Reo. Né ciò punto sconviene all'Ecclesiastica mansuetudine e benignità, anzi quando gli indizi sono legittimi, bastevoli, chiari e concludenti in suo genere, può e dee l'Inquisitore in ogni modo senz'alcun biasimo farlo, acciocché i Rei, confessando i loro delitti, si convertano a Dio e per mezzo de castigo salvino l'anime loro. Bene sconverrebbe da davero, anzi sarebbe cosa iniquissima e contro le leggi umane e divine, l'esporre ai tormenti chi che sia non precendendo alcuno legittimo e provato indizio e di nun momento, ancorché il reo persistesse constantissimamente in essa: non dovendosi mai cominciare alla tortura, ma dagli indizi, non per ciò varrebbe tal confessione a convalidarsi.Ma perché in negozio di tanta importanza si può facilmente commettere errore, e in pregiudizio notabile della giustizia, si che i delitti restino impuniti o in danno gravissimo e irreparabile dè Rei, fa di bisogno, che l'Inquisitore proponga prima nella Congregazione dè Consultori del Santo Officio il processo offensivo e difensivo, e col dotto e matur consiglio d'essi si governi e adopri sempre. O pure, ne dia parte al sacro e supremo Tribunale della Santa e Universale Inquisizione Romana e di là n'attenda la risoluzione. E noi, supposto che già con l'assistenza dell'Ordinario di chi verrà da lui deputato. sia preceduta la consulta nella causa di cui si tratta e che secondo le leggi debba il Reo a rigorosa esamina sottoporsi, ovvero dalla Sacra Congrecazione si sia ricevuto l'oracolo di ciò ch'abbia a farsi, andremo spiegando varie forme di detta esamina, secondo la varietà di casi che possono occorrere nel Santo Tribunale>>. 
Il Sacro Arsenale: <<Avendo il reo...>>e per reo Masini intende l'imputato, la persona sospettata e sottoposta a tortura, anche se egli non è stato ancora condannato dal tribunale. E' già scontata la sua colpa Commenta Italo Mereu: <<Il presuppost (taciuto) è quello che qualunque persona sia sottoposta a tortura per l'Inquisitore è già un reo che bisogna solo far confessare>>. 
Masini era anche particolarmente attento al linguaggio usato: infatti, trattando della tortura egli scrive: <<...è necessario per averne la verità venir contro di lui alla rigorosa esamina, essendo stata appunto ritriovata la tortura per supplire al difetto dè testimoni...>>.
Mereu <<l'equivalenza rigorosa disamina = tortura è quì fissata, e spesso, quando dovrà accennare all'istituto, il Masini preferirà ricorrere a questa espressione, che è analogismo ed è ben ritrovato. Rigorosa disamina è un sintagma dove il rapporto fra torturatore e torturato, fra chi può chiedere e chi deve solo offrire e rispondere, è sfumato in un'immagine scolastica che richiama alla memoria da un lato i maesri severi, ma giusti, e dall'altro allievi impauriti, trepidanti e ansiosi, che sperano solo di finire, e si augurano che le risposte date siano quelle soddisfacenti e placanti che il maestro attende e desidera. Ma c'è anche una sequenza psicologica non comune nell'uso di questa espressione che identifica la tortura con un esame e questo con la tortura. Alla base c'è la violenza, che tutto altera e distorce; quella fisica e quella psicologica, la territio e il dolore sofferto, che vengono unite in un'immagine in cui il rapporto non è più fra uomo e uomo, ma tra uno che può tutto e un altro che deve solo subire>>. 
Per il Masini, a parte qualche nota discordante, la tortura è legittima e necessaria, e non è in contrasto con la dottrina dell'amore e della carità peculiare della Chiesa cattolica: <<Nè ciò punto sconviene all'Ecclesiastica mansuetudine e benignità, anzi, quando gl'indizi sono legittimi, bastevoli, chiari e concludenti in suo genere, può e dee l'Inquisitore in ogni modo e senza alcun biasimo farlo, acciocché i rei, confessando i lor delitti, si convertano a Dio, e per mezzo del castigo salvino l'anime loro>>.

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martedì 18 settembre 2018

La tortura. La tortura secondo i manuali inquisitoriali

LA TORTURA

La tortura secondo i manuali inquisitoriali



Il Malleus Maleficarum a proposito della tortura: 
Questione XIV. Sul modo di emettere sull'imputata una sentenza d'interrogatorio sotto tortura e in che modo debba essere interrogata il primo giorno. 
Nel caso in cui una strega abbia fornto testimonianze discordanti e <<per avere la verità dalla tua stessa bocca e anche perché tu non offenda le orecchie dei giudici, con sentenza interlocutoria dichiariamo e giudichiamo che nel tale giorno alla tale ora tu debba essere sottoposta a interrogatorio e tormenti>>. L'imputata deve essere tenuta sotto sorveglianza, come prima cosa avendo l'accortezza che non parli con altre imputate e che non ricceva nessuna visita, a eccezione di quella dei presunti amici che, le promettano che il giudice si adopererà per sottrarla alla pena di morte, se ella dirà la verità sulle accuse. 
Il carcere era di per sé una pena molto dura, e giorni di completo isolamento, freddo e fame, potevano esseree psicologicamente sufficienti al fine di fiaccare la resistenza di un imputato. 
Accade che <<il giudice reputi in buona fede che l'imputato sta negando la verità e lo interroghino con moderate torture, pur sapendo che questi interrogatori sono fallaci e spesso, come si è accennato, inefficaci. Il modo di dare inizio è quello di spogliarlo mentre i ministri si dispongono all'interrogatorio, se è una donna, prima che venga condotta al carcere di pena, sia spogliata da altre donne oneste e di buona reputazione: questo per il motivo che qualche stregoneria potrebbe essere cucita nei vestiti. E mentre i predispongono gli strumenti, il giudice per parte sua e gli altri probiviri con lo zelo della fede inducano a confessare la verità liberamente e, se non vorrà confessare, dia mandato ai ministri di legarlo alla corda e agli altri strumenti; essi obbediscano subito, non lieti, ma per così dire turbati. Poi di nuovo sia sciolto su richiesta di alcuni, di nuovo esortato, e contemporaneamente informato che non sarà condotto a morte>>. 
Può accadere che un giudice prometta a una strega di salvarle la vita, ben sapendo che non manterrà la sua parola. 
<<Se l'imputata è ritenuta assolutamente senza reputazione e fortemente sospetta per gli indizi del fatto, e risulta maestra di altre streghe, anche in questo caso può esserle asicurato che avrà salva la vita, riveli altre streghe con segni certi e verissimi. Bisogna prometterle salva la vita, non senza una punizione con qualche penitenza, con l'esilio o altri modi. Quanto poi alle streghe famose e sopra a tutto quelle che si affidano ai medicamenti per le stregonerie e curano gli stregati, o rivelino le streghe;  il Diavolo è mentitore, a meno che non ci sia contemporaneamente il concorso di altri indizi del fatto mediante testimoni. Ad altri sembra opportuno che in caso sia stata così destinata al carcere, la promessa debba essere mantenuta per un certo tempo, ma dopo un pò debba essere bruciata. C'è poi chi dice che il giudice può sicuramente promettere salva la vita, ma in modo tale ch in seguito si esoneri dall'emettere una sentenza e il suo posto sia sostituito da un altro>>. 
Se la strega ancora non confessa, si passa alla tortura, la quale deve essere eseguita <<nei modi consueti, non nuovi o raffinati né troppo leggeri o troppo pesanti. E mentre viene interrogsto con incalzante frequenza su certi articoli propri dell'interrogatorio, s'incominci da quelli più lievi perché ammette più in fretta cose lievi che non cose gravi. E mentre avviene questo il notaio scriva tutto sul processo. 
L'interrogatorio ottenuto con i tormenti deve essere ratificato, in piano, ovvero senza l'ausilio della tortura e dell'intimidazione. 
Dopo che il giudice ha emesso la sentenza, la strega non deve essere lasciata sola, altrimenti il diavolo potrebbe intervenire e spingerla a suicidarsi per non avere la salvezza dell'anima. 
Questione XV - Continuazione dei tormenti; cautele e segni da cui il giudice può riconoscere la strega e come deve premunirsi dalle loro stregonerie, 
Può verificarsi il caso che l'imputata sia  <<affetta>> da stregoneria del silenzio; in questo caso il giudice ha il diritto d'intervenire con pratiche <<magico-esorcistiche>>, atte a togliere il vincolo e a spingere la strega alla confessione. <<Quando cerca d'inndagare se l'imputata sia implicata nella stregoneria del silenzio, cerchi di accorgersi se possa piangere quando sta davanti a lui  o quando è sottoposta ai tormenti. E' stato trovato finora come segno certissimo, e infatti la si esorti e la si scongiuri, anzi la si costringa a piangere; se è davvero una strega, non può versare lacrime. Emetterà solo flebili voci e cercherà di bagnare le guance e gli occhi di saliva, come se piangesse, ma i circostanti usino cautela per accorgersene>>. 
Esiste una precisa formulazione che il giudice o il sacerdote deve recitare, tenendo la mano sopra il apo dell'imputata affinché questa pianga. 
Per un fattore psicologico piuttosto che stregonesco, più le streghe veivao scongiurate per piangere, meno riuscivano, nonostante compissero molti sforzi. Una volta rimaste sole, nelle loro fetide celle, scoppiassero in lacrime. 
<<Se poi si cerca l'impedimento del pianto delle streghe si può dire che e perché la grazia delle lacrime nei pentimenti è annoverata fra i doni principali. Come afferma Bernardo, un'umile lacrima penetra il cielo e vince l'invincibile; ed è fuor di dubbio che questo ovviamente dispiace moltissmo al nemico della selvezza, egli, con i massimi sforzi, le ostacoli in questo affinché intervenga l'impenitenza finale. 
Nel corso del processo il giudice e gli ufficiali devono anche osservare una cautela: devono impedire in ogni modo che la strega possa toccarli, soprattutto nelle giunture delle mani e delle braccia, cioè nei polsi e nei gomiti; infine devono portare <<con sé sale esorcizzato la domenica delle Palme ed erbe benedette che, avvolte insieme con cera benedetta, porate al collo, a proposito dei rimedi contro le malattie e i difetti dovuti a stregonneria, hanno una mirabile efficacia preventiva e non solo secondo la testimonianza delle streghe ma anche per un uso e una consuetudine della Chiesa, a tal fine esorcizza e benedice>>. 
Inoltre, un'altra precauzione consiste nel non permettere a una strega di vedere, per prima, il giudice, perché potrebbe <<ammaliarlo>> con lo sguardo e rimandarla libera. Vi sono alcuni giudici che ritengono superstiziose queste pratiche: contro costoro si scagliano gli autori del Malleus Maleficarum, <<se può essere fatto agevolmente, che la strega sia introdotta di spalle al cospetto dei giudici e degli assessori. E non solo nel presente atto, si premuniscono con il segno della Croce, e combattono virilmente, perché sia spezzata, con l'aiuto di Dio, la forza dell'antico serpente. E nessuno ritenga superstizioso introdurla di spalle, perché, come spesso è accennato, i canonisti concedono questo e altro pur di togliere e impedire le stregonerie. 
<<La cautela da osservare in questo undicesimo atto riguarda la rasatura in ogni parte del corpo: per la stessa ragione per cui si tolgono gli abiti. Per la stregoneria del silenzio tengono una cosa qualsiasi come amuleto superstizioso o nei peli del corpo o talvolta nei luoghi più segreti e innominabili. 
<<Se poi si obiettasse che anche senza questi amuleti, il Diavolo potrebbe temprava la mente della strega a non confessare i crimini; allora si risponda che certo è vero che senza alcuna cosa il Diavolo riesce a procurare tale silenzio; tuttavia si serve di quelle cose per la perdizione delle anime e per una amggiore offesa alla maestà divina>>. A maggior riprova del loro discorso Sprenger e Institor riportano il caso di una strega tedesca, la quale procurava il silenzio in questo modo: rapiva un primogenito maschio ancora non battezzato, lo uccideva, lo arrostiva in una fornace assieme ad altri <<ingredienti>>, infine polverizzava i resti fino a ridurli in ceneri finissime. Queste, portate sul corpo, avevano la proprietà di non far confessare nulla. 
Ma possono esserci anche altri motivi che inducano le streghe non solo al silenzio non solo le streghe, ma anche delinquenti comuni: <<Una naturale durezza di mente; come alcunni hanno un cuore rammollito o sono talmente stupidi da ammettere qualsiasi cosa anche falsa alla massima tortura, così alcun sono così duri che, non si ottiene da loro la verità; spiritualmente quando sono già stati sottposti a tali interrogatori altre volte, per cui le loro braccia si piegano subito alle varie trazioni>>. 
A volte gli imputati, sono sotto l'effetto di stregonerie <<s distanza>>, operate da streghe libere. Il Malleus Maleficarum riporta l'esempio di una strega che si vantava che <<quando aveva almeno un filo del vestito di chi era stato incarcerato, poteva esercitare un tale effetto che, per quanto torturato, anche fino alla morte, non poteva confessare niente>>. 
E per questo motivo che diviene una prassi procedure alla rasatura del corpo, al fine di trovare i malefici nascosti nei peli, nelle pudenda o annche cuciti sotto la pelle. Sprenger e Institutor hanno trovato utile anche un altro rimedio contro la stregoneria del silenzio: <<Versando in un calice o in una tazza d'acqua santa una goccia di cera benedetta e invocando la santissima Trinità, l'abbiamo data da bere tre volte a digiuno e così per grazia di Dio abbiamo eliminato dai più la stregoneria del silenzio>>. 
Questione XVI - A proposito del tempo e del secondo modo d'interrogare. Atto decimo: le cautele finali che il giudice deve osservare. Gli interlocutori delle streghe devono essere compiuti la domenica e nei giorni più santi, il popolo va esortato a pregare, senza specificare per che cosa, ma solamente incitandolo a contribuire alla lotta del bene contro il male. <<Si prenda ciò che si è menzionato prima, il sale e le altre cose benedette, insieme con le sette parole che Cristo pronunciò in croce, scritte su un foglietto, e il tutto raccolto insieme sia legato al suo collo e sia conto tutt'attorno sul corpo nudo secondo la lunghezza del Cristo, insieme con altre cose benedette, se questa lunghezza si può ottenere comodamente. L'esperienza ha insegnato che la strega è molestata in modo mirabile da queste cose, ma sopra tutto dalle reliquie dei santi, e a stento si trattiene>>. 
La strega deve essere sollevata o comunque sottoposta o tortura un'ultima volta.
<<Si vede che non vuole detergersi la sua vergogna, le si chiederà se respinga di subire il giudizio del ferro rovente per avvalorare la sua innocenza, e poiché tutte vi aspirano sapendo che i diavoli preservano dallaa lesione e quindi anche da questo sono riconosciute come vere streghe, il giudice replicherà chiedendo per quale temerarietà possa sottomettersi a tanti pericoli>>. 
Se con la violenza e la tortura non si ottiene nulla, si può ricorrere ancora all'inganno: il giudice <<per prima cosa procuri che venga trattata umanamente quanto a cibo e bevande. Entrino da lei uomini onesti e non sospetti e frequentemente s'intrattengano a colloquio su argomenti varie non attinenti alla casa, arrivando poi a consigliarle quasi confidenzialmente di confessare la verità con la promessa che il giudice farà la grazia di cui vorrebbero essere quasi i mediatori. E alla fine entrerà il giudice e prometterà di fare grazia sottintendendo però che la farà a sé o allo stato; tutto cciò che si fa per la conservazione dello stato è opera di grazia. E anche nel caso in cui sia stata l'imputata a chiedere la grazia, sottintendendo però che la farà a sé e allo stato; e tutto ciò che si fa per la conservazione dello stato è opera di grazia. Se poi dovesse promettere salva la vita, le cose vengono scritte dal notaio dei dettagli, ossia in quale forma verbale e con quale intenzione sia stata promessa la grazia. E anche nel caso in cui sia stata l'imputata a chiedere la grazie e a rivelare i fatti, si dicano parole generali: che per lei ci sarà unaa grazia maggiore di quella da lei chiesta allo scopo di farla parlare con maggiore confidenza>>. 
Partendo dal connubio peccato sessuale-libidine, caratteristica particolare della donna, rafforzato dall'abbandono a Satana e dal rinnegamento della fede cristiana, gli inquisitori sottopongono le streghe a diverse torture, molte delle quali di carattere sessuale. Dobbiamo tenere presente che già la sola spogliazione, la vergogna e la berlina, la rasatura di tutte le parti del corpo alla ricerca del amrchio diabilico, la puntura con gli spilli per trovare zone che non sanguinano e non dolgono, il mostrare a scopo intimidatorio gli strumenti di tortura, la segregazione in celle buie e fetide, l'isolamento rappresentano forme di torttura psicologica. 
Il terrore è una costante del modo di procedere dell'Inquisizione. Tiziana Mazzali in Il martirio delle streghe scrive, a proposito della tortura che, ancora nel XVII gli Statuti (1757), verificate le condizioni per l'aapplicazione della tortura, prevedevano: <<...si procederà gradatamente e con matura giudizio: primo alla presenzione dell'inquisitio al luogo di trotura, ivi esortandolo a depporre la verità, se schivare vole li tormenti, per altro inevitabili notandosi distintamente del Cancelliere le risposte. Persistentarsi nella negativa, si perseguirà allo spoglio dell'abito, ed all'onesta legatura (e più aspra se la persona torturanda fosse inquisita i stregheria, o d'altro atroce delitto) nuovamente esortandolo a deporre la verità, su l'luogo appunto della verità ed ostinato insistendo nella sua negativa, purché sij digiuno da 10 ore, si ordinerà l'elevazione, alta o bassa, lenta o fruttolosa ad arbitrio della Drittura secondo le qualità meno o più urgente dell'indicii ed atrocità del delitto, secondo la maggiore o minore robustezza e sesso del torturando, purché non sia rotto, e se donna purhé non gravida, o peurpera pria delli giorni 40, o lattante, per lo spazio alla più lunga d'un ora. <<Che se puoi l'inquisitio sprezzasse tale tormento; o di fatto con parole o volendosi adormentare potranno li Signori Giudicanti decretare di tempo in tempo qualche squasso scuotendo discretamente la corda con la bacchetta, rinnovando succintamente le interroganze spesiali sopr'il malefizio. Che se chiedesse deposto dal tormento per confermare più comodamente la verità ed il fatto, si lascierà calare a basso, e così seduto, ma non staccato dalla corda, fermato intanto l'orologio, cioè polverino, si riceverà la sua deposizione. Se nulla confessa di concludente si ordinerà la nuova elevazione. Continuandovi secondo l'arbitrio discreto del magistrato, ma elevato on più dell'ora computato il tempo della prima elevazione. Saraà anche arbitraria al Magistrato secondo le circostanze il divider in due giorni distinti quell'ora, o meno, ch'avranno decreto di tortura, tale dimidiazione però non procederà nell'altri colegi di tortura dove occorressero come qui  sotto. 
<<... Che se il delitto fosse delli atroci, come di omicidio qualificato, di ribellione, d'assassino, di latrocinio alla strada, di sodomia o bestialità, di stregheria somamente indiziata, e simili, si protrarrà. però solo apparendo quel nuovo urgente indicio, siccome nel caso di tormento spezzato, perché non sentito, rispettare anche l'intiero Collegio di tortura, anche con squassi al numero di tre contrpesi ai piedi, di mezzo sin ad un peso o pure con l'uso dell'acqua fresca giù per le spalle ed ancora tripplicare il Collegio sopra nuovi urgenti provati indizi; così che sopra l'indizi su cui fu faondata la prima tortura dell'ora intiera, non si possa questa ripetere, salvo il caso dell'insensibilità, o della rivocazione ad bancura juris della confessione fatta nel tormento. In questi delitti però la sostenuta negativa ne tormenti non essimerà dalla oena straordinaria il reo gravemente indiziata...>>
E ancora disponevano:
<<Che se avrà confessato il misfatto, si lascerà in riposo il torturato per 24 ore, dopo raggiustati librazzi: onde si dovrà di novo esaminarlo, al banco della ragione, dove rivocando la fatta confessionene tormenti in tutto o nelle parti essenziali, si ripeerà la tortura al quanto pià gagliarda e qualificata, attesa l'incostanza, ed acciocché insistendo nella rivocatoria, questo magior qualità di tormento alida la già fatta confessione nel precedentemente qualificato tormento...>>.
L'atrocità dei supplizi (oltre all'elevazione, in cui gli imputati erano sollevati dalle braccia legate dietro la schiena, nei processi risuulta che spesso agli inquisiti veniva inflitto al supplizio del cavalletto che pare fosse composto da due tavole con il lato lungo e acuminato, per il quale erano unite ad angolo acuto e su cui venivano fatti sedere a cavalcioni gli imputati. Altre torture erano: i ceppi, morse con cui si stringevano gli arti inferiori, la veglia e il fuoco, col quale si scottavano le piante dei piedi, era tale da fare invocare alle malcapitate una morte più rapida. (<<Dandum più prest un'altra morte>>, come Maria Zanetti e Lucrezia de Loda la quale inutilmente aveva apostrofato i suoi carnefici dicendo: <<Con li animal non si fa tant>>. Invece Caterina Godeferro e Margherita Menghin avevano cercato di evitare nuovi supplizi, l'una chiedendo del veleno, l'altra cercando di strangolarsi, ma nessuno poteva sfuggire a ciò che era ritenuto passaggio fondamentale per la ricera della verità). Il ricorso alla tortura in materia di stregoneria era giustificato, oltre che dalla gravità del reato, anche dalla presenza del bollo demoniaco. Si credeva infatti che Satana imprimesse sul corpo dei propri adoratori un marchio, il cui ritrovamento, ad opera di veri e propri esperti, costituiva un grave indizio che giustificava i supplizi inflitti. La scoperta del bollo era uno degli accertamenti iniziali del processo. L'imputata, spogliata e rasata, veniva sottoposta a minuziosa visita, durante la quale veniva trafitta un pò in tutto  il corpo con uno spillone. I punti indolori o esangui, ma ance porri, escrescenze cutanee o abrasioni erano considerati bolli demoniaci e da quel momento in poi si aveva laa certezza che l'imputata fosse colpevole, cosicché l'unico scopo dei giudici diventava quello di ottenere uuna giusta confessione.

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