LA TORTURA
LA TORTURA NEL MONDO ANTICO
La flagellazione di Cristo e la legge romana
Dal film "The Passion of the Christ" di Mel Gibson. Jim Caviezel.
La flagellazione era molto usata anche con uomini liberi, soprattutto nelle colonie; è nota a tutti la flagellazione alla quale Cristo fu sottoposto su ordine di Ponzio Pilato.
Luca ne parla assolutamente e si limita a riportare le parole del procuratore romano: <<Dopo averlo fatto frustrare lo lascerò libero>>. La testimonianza è di notevole importanza, perché mostra la volontà di Pilato di non condannare Gesù alla crocifissione, <<limitandone>> la pena a una solenne flagellazione, che era una punizione e nulla più.
La flagellazione era anche applicata come supplicium more maiorum, fino a quando all'inizio dell'età della repubblica, venne abolita dal diritto romano.
La tecnica <<consiste nell'introdurre il capo del condannato in un legno di varia foggia, chiamato genericamente furca alle cui estremità vengono fissate le mani con corde; così conciato, l'infelice è trascinato per le vie della città, subendo gli scherni degli spettatori, le percosse dei carnefici i colpi di verga dei tortores; se poi sopravvive ai colpi, legato a un palo nel foro, viene miseramente finito con le verghe>>. (G. Zaninotto, La tecnica della crocifissione Romana).
Quando la flagellazione precedeva la pena capitale, il numero dei colpi inflitti non era mai condizionante per il fisico del condannato; l'intera procedura assumeva anche un significato simbolico, oltre a essere una forma per distruggere ulteriormente il fisico della vittima. E' emblematica, in questo caso, la testimonianza di Abdia: <<Il proconsole dopo averlo (Andrea, nda) fatto battere tre volte con sette colpi di flagello, comandò che fosse crocifisso>> (Historia Apostolica, III, 40).
Presso i giudei la flagellazione era un supplizio praticato abitualmente. Deutremonio: <<Se il colpevole merita di essere battuto, il giudice lo farà stendere giù e lo farà battere in sua presenza con un numero di colpi in proporzione al suo torto: quaranta battiture potrà farli dare, non di più, perché oltrepassando questo numero di battiture, la punizione non sia esasperata e il tuo fratello resti infangato ai tuoi occhi>>, ma la sua applicazione era calmierata dalla Legge mosaica. I colpi inflitti non potevano superare i trentanove: tredici sul petto e altrettanti sulle singole spalle. Questo limite è confermato dall'apostolo Paolo.
Il devastante effetto delle fruste è fin troppo conosciuto: Giuseppe Flavio ed Eusebio hanno riportato descrizioni in cui è detto che la flagellazione produsse lacerazioni tali al punto di esporre le ossa e in alcuni casi i visceri dei condannati.
Se consideriamo che la pelle dell'uuomo occupa una superficie totale compresa fra 1.5 e 2 mq con uno spessore variabile tra 0.5 a 4 mm, dove in un centimetro di cute sono in media contenute duecento terminazioni dolorifiche, venticinque corpuscoli tattili, quattro metri di rete nervosa, un metro di capillari e tre milioni di cellule nervose, ci rendiamo conto dell'entità della sofferenza prodotta dalla flagellazione, estesa sistematicamente su quasi tutta la totalità del corpo.
La frusta, attraverso un meccanismo contundente di martellamento, determinato dalla forma dei flagelli, provocò certamente sul corpo di Cristo una serie di lesioni di aspetto e di dimensioni variabili in relazione alla forza impressa dai torturatori e condizionata dalla direzione da cui giunsero i singoli colpi. Da parte di alcuni patologi c'è stato il tentativo di studiare oggettivamente quelli che sarebbero stati gli effetti della flagellazione sul corpo di Gesù: la prognosi prodotta dall'analisi delle circostanze ipotizzate, sulla base di testi evangelici e sui pochi dati storici, è certamente grave. Tale da determinare la morte del condannato.
La pena era applicata con verghe e con una frusta costituita da uno o tre lorum (corregge), ma in questo caso il numero dei colpi era limitato a tredici.
La flagellatio ad libitum, in uso tra i Romani, non fissava alcun limite al numero dei colpi, che era quasi sempre lasciato all'arbitrio dei flagellatori, i quali cercavano di fermarsi prima che il condannato perisse in seguito alle sofferenze patite.
In alcuni casi, per i delitti particolarmente gravi, si applicava anche il supplicium more maiorum, in seguito abolito. In territori di provincia l'esecuzione era affidata ai militari, che utilizzavano tre strumenti, scelti in relazione alla posizione sociale del condannato: le verghe per i liberi, i bastoni per i soldati, la frusta e il flagello (flagrum e flagellum) per gli schiavi.
<<Diversi erano gli strumenti in uso per la flagellazione, e diverse, quindi, gli effetti sui corpi. La differenza era richiesta non dalla gravità del reato, ma dalla condizione sociale del reo. Se il flagellato era uno degli honestiores, cioè uno che possedeva diritti derivanti dal censo, si mettevano in attività le virgae o verbera (Cicerone, Sallustio, Livio, V. Massimo). Se era un militare aveva diritto ai bastoni, i fustes (Cicerone, Tacito, Dione); così pure i cittadini liberi, ma di censo mediocre (Svetonio). Per gli schiavi e gli Humiliores era riservato il flagrum flagellum, formato da due o tre strisce di cuoio o di corda (lora) terminanti con ossicini di pecora, astragali, dadi di legno che lo rendevano particolarmente distruttivo delle schiene (horribile flagrum)>> (G. Zaninato, Roma).
La documentazione storica sulla flagellazione riferibile alla tradizione giuridica romana, assume toni ambigui, proponendo questa pratica come una forma di violenza integrativa alla pena capitale. In alcuni documenti romani del I secolo sono citati dei verbatores: uomini incaricati di flagellare il condannato, trascinarlo fino al luogo dell'esecuzione e issarlo sul patibolo. Questi <<professionisti>> del dolore fornivano la loro opera dietro compenso ed erano spesso chiamati a lavorare nelle case dei patrizi, oltre a rispondere ai magistrati.
Dalla Lex Valeria (509 a.C.) alla Lex Sempronia, le testimonianze conservate dimostrano come fu possibile <<non tener conto dei diritti fondamentali dei cittadini che la prepotenza dei magistrati o le necessità contingenti facilmente eludevano>>. (G. Zaninotto, Roma).
La flagellazione per i Romani assumeva tonalità diverse diventando segno di infamia, riservato solo alle classi più misere. Nel caso il condannato fosse uno schiavo colpevole di crimen laeve, il numero di colpi da infliggere poteva essere stabilito dal suo padrone. Lvio ci comunica che per motivi particolarmente gravi anche le donne potevano essere sottoposte alla pena della flagellazione.
Quanto va sottolineato, è l'assoluta mancanza nella flagellazione romana, di un limite da non oltrepassare, e questo dato è particolarmente importante, poiché ci permette di ipotizzare che Gesù, subendo la pena secondo la legge rappresentata da Pilato, fu quasi certamente percosso da molti colpi di flagello destinati a devastare il suo corpo posteriormente e anteriormente. Accanto alle verghe e ai bastoni usati per la fustigazione, i carnefici romani potevano anche contare sul flagrum, sul flagrum taxillatum, o sul plumbum o plumbata di cui abbiamo ancora testimonianze attraverso le descrizioni classiche e i reperti archeologici, come il flagrum conservato nel Museo Nazionale delle Terme di Roma.
La Sacra Sindone. Torino
Se osserviamo la Sindone di Torino, notiamo che sul corpo dell'uomo che vi è stato avvolto vi sono tracce di una flagellazione inferta con il flagrum taxillatum in uso alle truppe di privincia, costituito da un'impugnatura alla quale erano collegate corde, catene e strisce di cuoio con pezzi di osso di metallo o con piccoli manubri di piombo.
Il devastante effetto di questa frusta è conosciuto dagli studiosi: gli scrittori dell'antichità hanno riportato descrizioni spesso tremende, che pongono in evidenza i risultati di una flagellazione effettuata con l'ausilio di quel temuto strumento di sofferenza. Tali fruste, nelle mani di abili torturatori, diventano ulteriormente terribili.
Queesi fatti appartengono alla storia e comunque si voglia interpretarli, sono una delle tante conferme dei livelli raggiunti dall'uomo, sempre così abile nell'inventare le sofferenze per i propri simili.
Nonostante la grande diffusione raggiunta; anche la flagellazione cadde in disuso, ma la diminuzione della sua applicazione fu un riflesso, non un'iniziativa direttamente orientata a ridimensionare l'estensione della pena.
La legge romana prvedeva che la vittima fosse frustata in un luogo pubblico; inoltre si ha notizia di varianti praticate in area orientale, in cui le vittime potevano essere appese per i capelli, oppure distese a terra tra quattro pioli laterali ai quali erano legati mani e piedi. A percuotere i condannati erano i tortores, schiavi preparati in un'apposita scuola, oppure soldati comandati a questo particolare incarico, che generalmente operavano in coppia. Cicerone descrive sei lictores incaricati di punire contemporaneamente un solo condannato; accompagnavano in numero variabile i magistrati, consoli e proconsoli, portavno una fascia di bastoni legati con un'ascia gli strumenti necessari per la loro opera. Con la verga si colpiva e con la fascia si uccideva <<i fasci quindi, contrariamente alla credenza di molti, non erano simboli del potere romano, (rappresentato invece dalle aquile imperiali), bensì simboli e strumenti pratici per la giustizia punitiva, come ai giorni nostri un modello di ghigliottina o di sedia elettrica>>.
Riguardo a Cristo, riferendoci alla tradizione del suo tempo e alla volontà di Pilato di impartire una punizione solenne, possiamo ipotizzare che i colpi inferti fossero certamente numerosi, forse determinati dalla violenza di due o più tortores armati di orribili flagra, da ognuno dei quali si diramavano lorae di cuoio.
Sulla Sindone di Torino, ne sono stati contati novantotto, di questi cinquanta sono ternari (dovuti a una frusta costituita da almeno tre terminazioni doppie), nove hanno solo qualche traccia del terzo segno del flagello; diciotto presentano solo l'impronta di due punti terminali e ventuno hanno solo un segno. Studiando la posizione di tali segni, si è giunti alla conclusione che il corpo dell'uomo della Sindone fu probabilmente colpito con almeno tre flagelli. I carnefici furono particolarmente pesanti nel colpire risparmiando solo una parte del torace forse per la difficoltà di raggiungerlo, come è stato sottolineato, perché si trattava di un'area delicata dove una eccessiva sequela di colpi avrebbe determinato un <<tamponamento cardiaco da perdicardite sierosa traumatica>>.
Senza dubbio forti traumi prodotti dal flagrum condizionarono non poco il corpo già fortemente provato del condannato. Se partiamo dal presupposto che la tortura non seguì le regole della flagellazione ebraica allora evidentemente ci troviamo davanti a un caso difficile da qualificare scientificamente. Stando alle fonti evangeliche, è certo che Cristo non morì nel corso della flagellazione: possiamo però ragionevolmente considerare questa punizione come una delle cause principali della sua rapida agonia sulla croce.
Se ci addentriamo in una più profonda analisi della morte di Cristo, ci accorgiamo che il suo martirio si compì in uun lasso di tempo relativamente breve, in quanto abbiamo testimonianza di crocifissi agonizzanti sul palo da alcune ore fino a due giorni.
Diversi <<focolai di tossine>> - cos' sonoo chiamati dai patologi gli effetti delle sofferenze pre-crocifissione - influirono pesantemente sul corpo di Cristo, tanto da condurlo in breve tempo verso la necrosi miocardica.
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