mercoledì 18 aprile 2018

La tortura. Modalità, statuto giuridico, applicabilità. I principali tipi di tortura

LA TORTURA

MODALITA'. STATUTO GIURIDICO, APPLICABILITA'

I prncipali tipi di tortura



Il più diffuso metodo di tortura era, in Italia, nei secoli XVI-XVII, il tormento della corda o colla, che consisteva nel legare le mani del soggetto dietro la schiena, con una corda che passava per una carrucola, fissata al soffitto, quindi sollevarlo per aria, tenendolo in quella posizione per un tempo variabile da pochi minuti a un'ora o più. Nei casi più gravi si lasciava cadere il corpo quasi fino a terra, dandogli i cosiddetti <<tratti>> o <<isquassi>> o <<saccate>> di corda. 
Questo metodo era particolarmente pericoloso, ma sugli altri aveva la prerogativa  che si poteva facilmente graduare a seconda della gravità delle accuse, la condizione fisica delle persone, e l'urgenza degli indizi raccolti. Vi erano ovviamente dei metodi per inasprire il tormento. Alcuni consistevano nel gettare acqua fredda sul dorso del soggetto, nel tenere divaricate le gambe per mezzo di un bastone, nell'attaccargli ai piedi ceppi di ferro o vasi pieni d'acqua e animali vivi. Il Savonarola, secondo alcuni suoi biografi, sarebbe stato <<collato>> con carboni accesi accostati alle piante dei piedi. 
In ordine d'importanza e diffusione, seguono alla corda la stanghetta, gli zufoli, il fuoco e la veglia. 
La stanghetta o cavicchia o tagliola consisteva nel comprimere una caviglia dell'imputato tra i due tasselli o dadi di ferro concavi, però pare che, pur storpiando irrimediabilmente il soggetto, questo metodo non fosse molto efficace per far confessare. Per questo motivo fu perfezionato, rinunciando alla stanghetta che gli aveva dato il nome, e sostituendola con due tavole di legno situate a màò di torchio, fra le quali si comprimeva alla caviglia una gamba.Una variante era costituita da due gambali di ferro che si potevano stringere con un meccanismo a vite, e dentro i quali venivano imprigionate le gambe del soggetto. Il carnefice, stringendo assieme le gambe, ne provocava lo spappolamento. Questo tormento veniva comunemente denominato <<stivaletto spagnolo>>.
Altri tormenti sono fondati sullo stesso principio fisico, e hanno per oggetto lo stringimento forzoso di altre parti del corpo, in particolare le mani, il cranio o gli organi genitali. 
Il tormento degli zufoli o delle cannette, era usato per delitti lievi o nell'esame dir agazzi o donne. Si mettevano zufoli o sibilli fra le dita, e si riunivano le palme delle mani, come in atteggiamento di preghiera, poi si comprimevano con una cordicella. 
Molto più doloroso era invece un tormento simile, l'allacciatura o cordicella, che ricordava le fediculae romane: consisteva nel congiungere insieme gli avambracci dell'imputato, passarvi attorno una corda e attorcigliarla una dozina di volte, stringendo quanto più possibile. Gregorio Grimaldi, nel suo Istoria delle leggi e dei magistrati del regno di Napoli (1731) descrive questa tortura, che chiama delle <<funicellate>> come ancora in uso ai suoi tempi e in una forma aggravata: <<... si alligano alle braccia e à polsi del reo quattro o due funicelle ad arbitrio del Tribunale, e si stringono a guisa che tocchino quasi l'ossa, e in tale stato poi si sospende alla corda>>.  
Vi era un'ulteriore variante che consisteva nello stringere con la fune non solo un braccio, ma tutto il corpo, tormentum stricturae. 
La tortura del fuoco consisteva solitamente nell'ungere di lardo i piedi del soggetto, accendervi sotto un fuoco e tenerli a scottare per un periodo di tempo misurabile con la recitazione di un Credo i di un Miserere, o con un orologio a polvere. Questo tormento, rendeva spesso il torturato inabile all'uso dei piedi. 
Fra i processsi di Triora del 1857 possiamo trovare una presunta sstrega ridotta senza l'uso dei piedi. Nel corso di questi processi il vicario vescovile di Albenga, costretto dagli anziani di Triora a giustificare la sua crudeltà. sostiene, in uuna lettera, che il fuoco ai piedi fu dato solo <<a quattro gagliardissime indiziate, e a tutte con misura; né è vero che alcuna habbi per questo perso li piedi, anzi le tre camminarono sino al primo giorno con li loro piedi; la quarta non è ancora guarita forse piuttosto per colpa di mala cura che per l'estremità del tormento>>.   
A Palermo, nel 1684 e nel 1716 due condannati all'impiccagione vengono portati al patibolo legati a una sedia, e il boia deve strangolarli anziché appenderli perché essi sono incapaci di reggersi in piedi in seguito al tormento del fuoco. 
Uno dei tormenti perggiori, è la tortura della veglia. Fu inventata da un giurista, Ippolito Marsili, che ebbe l'idea di costringere un esaminato a restare sveglio per quaranta ore di seguito, seduto su una seggiola, con ai fianchi alcuni aguzzini incaricati di sovegliarlo e di non lasciargli chiudere occhio. Questa tortura ha un'eefficacia grandissima e non produce lesioni corporali. L'intenzione di Marsili non era certo di migliorare moralmente l'istituto della tortura, quanto di mettere al riapro la sua categoria da accuse di tormenti eccessivi che non erano infrequenti. Con la veglia mancavano infatti le prove materiali degli eccessi subiti dagli imputati. La veglia viene inasprita facendo sedere la persona su un cavalletto appuntito, chiamato anche capra. 
Era una capra vera quella usata per il tormento del sale: doopo avere legato il torturando a una sedia, gli si cospargevano di lardo o si umidificavano le piante dei piedi, poi si ricoprivano di sale che si faceva leccare a una capra, tenuta digiuna per alcuni giorni. Spesso questa consumando con la sua lingua ruvida la pelle e strato muscolare, si fermava all'osso. 
La lingua caprina fa parte di una serie di tormenti <<minori>>, ma ugualmente in uso. Per quanto riguarda la tortura della'acqua, si trattava di far ingurgitare attraverso un imbuto per la bocca o per le narici acqua pura, o mista ad aceto, calce, sale. Veniva forzato l'inghiottimento dell'intero contenuto dell'imbuto prima di poter prendere una boccata d'aria. Quando il ventre era disteso e gonfio fino al grottesco, il soggetto veniva inclinato con la testa verso il basso; la pressione del liquido contro il diaframma e il cuore provocava dolori lancinanti, inaspriti da colpi sul ventre. Non vi erano segni esterni visibili di questa tortura, ecco perché veniva spesso usata su soggetti compromettenti come nobili, ecclesiastici di rango, donne. 
Qualcosa di simile in Francia era il velo: si infilava in gola un velo bagnato, tramite una pinza di ferro, accompagnandolo con sorsi d'acqua per farlo arrivare fino allo stomaco. Una volta giuntovi, il carnefice tirava, con un solo strappo, l'altro capo del velo. Questa tortura spesso poratava alla morte, quindi il suo uso fu relativo. 
Un'altra tortura consisteva nel legare l'imputato e mettergli nell'ombelico un tafano, uno scarafaggio o un moscone, chiuso sotto un bicchiere di vetro, in modo che gli redesse lentamente l'ombelico. Una variante per gli omosessuali consisteva nell'inserire nell'ano un topolino, questa specializzazione era usata anche per le streghe, alle quali si inseriva nella vagina. Ulteriore variante era mettere la testa del soggetto in un sacco pieno di gatti inferociti. 
La morsa alle labbra, gli aghi sotto le unghie, le uova sode o sfere di ferro incandescenti sotto le ascelle o fra le cosce fanno parte delle toruture affinate con il solo scopo di prolungare il dolore, senza rischio della vita. Sono innumerevoli i flagelli di ferro, con due, tre, otto catene, munite di stelle taglienti, anelli piatti taglienti come rasoi, ovali e foglioline, <<corone di spine>>, o il nerbo di bue, che in un paio di colpi taglia la carne delle natiche fino all'osso del bacino: mentre meno sanguinario e più raffinato è il tormento provocato dalla <<gatta>>: si tratta di un flagello composto da una cinquantina di corde, imbevute in una soluzione di sale e zolfo disciolti in acqua, e applicate sulla schiena, sull'addome e nelle zone genitali. A causa delle caratteristiche del filo di canapa, intriso di zolfo e sale, la carne lentamente si riduce, fino allo spuntare dei polmoni, dei reni, del fegato e degli intestini. Durante la fustigazione la carne viene lavata con una soluzione simile a quella usata per la corda. 
Il <<solletico spagnolo>>: arnesi di ferro somiglianti a una zampa di gatto venivano montati su un manico di legno e usati per asportare brandelli di carne della vittima. Vi erano altresì torture che venivano usate per costringere alla confessione senza essere vere e proprie torture: alcuni giudici davano come cibo carne completamente coperta di sale, salvo poi negare da bere, o tenevano i soggetti nudi al freddo, completamente a digiuno. 

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