L'INQUISIZIONE IN ITALIA
L'eliminazione degli ultimi catari nel secondo Duecento
La lotta finale contro i catari
Gli inquisitori nella provincia della Marca trevigiana
L'ufficio inquisitoriale fu tenuto inzialmente dai domenicani e nel 1254 passò ai frati minori, ma è possibile ricostruire la serie degli inquisitori francescani soltanto per una ventina di nomi e con date discontinue e parziali dal 1262 e al 1308; queste date indicano le presenze documentate, non la durata effettiva del servizio:
fra Florasio da Vicenza 1262-12632
fra Bartolomeo de Corradino 1262-1263, 1269
fra Rufino 1263
fra Nascimbene 1269
fra Timidio Spongati da Verona (1269?), 1273-1275 (o 1276?)
fra Agostino 1276 (o prima del 1276)
fra Marco da Mantova (1276-1278?), 1282
fra Filippo Bonacolsi da Mantova 1276-1278, 1280, 1282, 1289
fra Alessio da Mantova 1279-1281
fra Bartolomeo Mascara da Padova 1282, 1285
fra Francesco da Trissino 1282, 1287-1290, 1295-1298
fra Bonagiunta da Mantova 1289-1292
fra Giuliano da Padova 1289, 1291-1293
fra Alessandro Novello da Treviso 1293-1294
fra Antonio de Luca 1293-1298
fra Pietrobuono Brusemini da Padova 1296-1298
fra Costantino da Vicenza 1297
fra Dondedeo da Mantova 1298
fra Pietro da Bassano 1298
fra Boninsegna da Trento 1298-1302
fra Antonio da Padova 1300-1302
fra Aiulfo da Vicenza 1304-1305
fra Petricino da Mantova 1306-1307
fra Ugo d'Arquà 1308
Gli inquisitori avevano competenza su tutto il territorio della provincia francescana, e quindi si spostavano da una parte all'altra e per la loro attività. In ogni diocesi esisteva una sede nel convento principale della città dove l'inquisitore sostava, come fu certamente a Padova, Vicenza, Venezia, Conegliano, Verona, Treviso. Inoltre nelle sedi pià importanti di solito risiedeva stabilmente un vicario, che curava l'amministrazione dei beni, accoglieva le confessioni degli eretici e svolgeva altre funzioni giudiziarie. Il posto di vicario fungeva spesso da gradinoo per accedere al pieno ufficio o veniva coperto da un ex inquisitore in attesa di venir nominato di nuovo, e questo dava una certa continuità all'opera di contro sull'eresia. Nel quarantennio preso in considerazione gli inquisitori rilevanti furono sei o sette, <<ben affiatati tra loro, potenti e a volte persino prepotenti>>, che gestirono l'ufficio non tanto in funzione della salvaguardia della fede, quanto dei propri interessi di carriera. Furono un piccolo e potente gruppo di potere all'interno del 500-600 frati della provincia sparsi in più di 33 conventi.
Le spese correnti dell'ufficio infatti dovevano essere coperte dall'inquisitore, e per questo tra le pene comminate erano numerose le multe pecuniarie e le confische dei beni di eretici defunti, risultano rarissime le esecuzioni capitali o le condanne al carcere. Alla fine del Duecento si ebbero molti prcessi postumi contro famiglie ricche e potenti, in particolare a Padova e Vicenza, nel periodo in cui furono inquisitori prevalentemente frati padovani, nominati dal ministro provinciale fra Bartolomeo Mascara da Padova (1289-1299), che spendevano indebitamente una parte delle entrate èer isi personali, favori e parenti e donativi secolari. Negli anni immediatamente precedenti gli inquisitori erano stati prevalentemente mmantovani sotto l'influsso della forte personalità di fra Filippo Bonacolsi da Mantova (1276-1289). Gli inquisitori di origine padovana sono criticai e valutati negativamente dagli storici oggi, ma sembra che all'eppoca fossero ben accettati dai contemporanei, che anche nel periodo delle ricorrenti malversazioni continuarono a lasciare loro donativi nei testamenti, a collaborare con loro a livello istituzionale e talvolta perfino li difesero dalle fondate accuse di abusi amministrativi.
Una lieve descrizione della loro attività fa capire molto bene che cosa facessero nel complesso, e allo stesso tempo mette in evidenza quanto grande sia la frammentazione delle fonti. Fra Florasio cercò per lo più inutilmente di far inserire le norme antieretiche negli statuti dedlle cità, ci riuscì solo a Verona e alla fine dovette lasciare l'incarico trasferendosi a Roma. Fra Bartolomeo da Corradino sostenne una vivace contesa con il vescovo di Treviso per questioni di competenza, vendette ben 2 eretici e forse fu lui a condannare Spera, già damigella della marchesa d'Este, bruciata viva come catara a Verona nel 1269 circa; fra Rufino e fra Nascimbene furonnoo suoi conquisitori. Fra Timidio cercò invano di farsi consegnare un eretico arrestato a Lazise, vicino alla grossa comunità catara di Sirmione, e divenne qualche anno dopo vescovo di Verona. Fra Agostino si occupò dei catari di Sirmione. Fra Marco da Mantova vendette i beni di una eretica. Fra Alessio da Mantova intervenne contro il podestà di Padova perché troppo remissivo verso i catari, contro il vescovo della stessa città e poi contro il vescovo di Vicenza, che aveva favorito la liberaione di un vescovo cataro; a Treviso vendette i beni di 7 eretici. Fra Filippo da Mantovs vendette i eni di 3 eretici, di cui 2 donne, condannò un eretico già defunto e nominò notai inquisitoriali due cittadini veronesi. Nel 1289 convinse il governo ad accettare la presenza di un inquisitore a Venezia e divenne infine vescovo di Trento.
Fra Filipp Bonacolsi è più noto per aver partecipato alla spedizione militare che ebbe luogo il 12 novembre 1276 contro glieretici di Sirmione, condotta dal vescovo di Verona fra Timidiol, da Pinamonte Bonacolsi e da Alberto della Scala, durante la quale vennero arrestati 166 catari, poi processati e bruciati nell'arena di Verona il 13 febbraio 1278 con l'aggiunta di un'altra quarantina di dissidenti. Le vicende di questa terribile esecuzione, la più grande avvenuta per eresia in un solo giorno e probabilmente anche la più grande in assoluto in Italia, sonoracchiuse nelle scarne righe di una cronaca veronese che copre gli anni 1259-1306, attribuita a un membro della famiglia De Roamno: le autorità appena elencate
presero 166 tra eretici ed eretiche che furono condotti a Verona per volontà e beneplacito del signor Mastino, che era allora signore di Verona. Nel 1278, la domenica 13 febbraio, nell'arena di Verona furono bruciati circa duecento patarini di quelli che erano stati presi a Sirmione e fra Filippo, figlio del signor Pinemonte, era l'esecutore.
Un'altra cronachetta scaligera è ancora più laconica e fissa il rogo nell'anno 1276, dimezzando il numero dei condannati: <<In quest'anno cento eretici e patarini da Sirmione furono bruciati nell'arena>>. La ferocia di questa esecuzione di massa conrasta con i dati delle condanne capitali nella provincia della Marca trevigiana presenti nelle Colectiorae per tutta la metà del Duecento: a quella veronese di Spera se ne aggiunge solo un'altra, quella di Ugolino da Reggio, bruciato vivo sotto l'inquisitore fra Boninsegna alla fine del secolo.
Continando la serie degli inquisitori, fra Bartolomeo Mascara nel 1282 e nel 1285 vendette beni di 3 eretici, facendo la fortuna di un proprio parente, e fu ministro provinciale per almenoun decennio, dal 1289 al 1299, periodo in cui nomnò inquisitori alcuni frati che sarebbero risultati indegni affaristi. Fra Bonagiunta, assieme a fra Giuliano da Padova, denunciò al papa le autorità veneziane che impedivano il funzionamento corrente dell'ufficio, ma a sua volta venne denunciato da un abitante di Venezia, che era stato citato a comparire fuori dai confini della diocesi. Fra Bonagiunta condannò eretici, fra Giuliano altri 2, ma continuò a vendere i beni di un terzo eretico anche dopo la fine del suo incarico e cercò di arricchire i propri nipoti estorcendo denaro a un quarto.
Il gruppo di inquisitori della Marca trevigiana con più determinazione è quello della fine del Duecento: quasi tutti originari del Padovano, nominati dal provinciale fra Bartolomeo Masccara. In questo periodo gli inquisitori sono contemporaneamente tre o anche quattro e parecchie sedi vicariali diventano uffici stabili: Padova, Venezia, Viccenza. Verona, Conegliano. Confische e vendite di beni di eretici: fra Francesco da Trissino 17 casi, fra Alessandro da Treviso 9 (divenne poi vescovo di Feltre e Belluno), fra Antonio de Luca 3, fra Antonio da Padova (da non confondere con l'omonino santo) 20 casi, fra Pietrobuono da Padova 11, fra Dondeo 3, fra Boninsegna da Trento 14, fra Aiulfo 8, fra Paolino 4, fra Pietricinio 4. I documenti riportano quasi solo il nome del processo e il valore dei beni venduti, che varia di molto: da 3, 4, 12 lire di piccoli a 400, 300, 500, per arrivare a 1.000, 2.000, 1.024, 1.500 e in qualche caso a 4.000 e 6.000 lire di piccoli, ma anche 212 fiorini d'oro. Dalle indicazioni dei beni venduti dagli inquisitori a Padova si arguisce che le confische riguardavano case, masi, molti terreni, un mulino, patrimoni cioè di grande valore, ma le cifre basse di altri casi fanno supporre beni mobili o immobili di poco conto: ad esempio 4,44, 30, 40 soldi di bagattini, 7, 11, 200, 2, 150 lire di bagattini 3, 5, 4, 10, 25 soldi grossi veneti. I terreni non venivano soltanto venduti, ma anche dti a livello e quindi producevano entrate fisse e continuative.
Pochi eretici e molti soldi tra le mani erano una grossa tentazione per gli inquisitori, anche se votati alla povertà personale come già aveva intuito il capitolo generale di Lione del 1272. La tentazione si trasformò in malvesazione nell'ultimo gruppo di inquisitori venuti dalla lista precedente, tanto che ci furono due severe inchieste papali contro di loro nel 1302 e nel 1308. I giudici speciali inviati da Bonifacio VIII e da Clemente V raccolsero abbondanti dati sulla gestione economica, conservati a Roma nelle Collectiorae dell'Archivio Segreto Vaticano, mentre i verbali dei processi tenuti nelle sedi locali sono quasi tutti scomparsi nel corso dei secoli.
Poche altre nootizie, anche queste frammentarie, si possono ricavare da fonti di diverso genere su individui processati o sospettati, sulle loto dottrine e anche sulle condanne capitali. Oltre a quelli sopra indicati, roghi di eretici ebbero luogo a Verona dal 21 al 23 luglio 1233 (60 uomini e donne), a Vicenza verso il 1260 (i diaconi catari Olderico de Marola e Tolomeo, con altri 8), a Padova nel 1272 (2 donne), sempre a Padova all'inizio del Trecento (22 dolciniani).
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