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giovedì 25 ottobre 2018

Storia militare d'Italia. Presentazione

Storia militare d'Italia

Presentazione


Luigi Salvatorelli


Piero Pieri 



Raccontò in occasione di una sua lezione Rrenzo de Felice che, ancora giovane ai primi passi nella carriera di storico e frequentatore di incontri e convegni di studio, era rimasto colpito dal fatto che due studiosi di riconosciuto valore come Luigi Salvatorelli e Piero Pieri si fossero tanto accaldati discutendo della prima guerra mondiale e delle origini del fascismo fino al punto di apparire a coloro che li ascoltavano quasi come due macchiette. De Felice si riferiva, a una veemente polemica pubblia che aveva avuto come protagonisti i due studiosi nel 1963 in occasione del XLI congresso nazionale dell'Istituto per la Storia del Risorgimento tenutosi a Trento dal 9 al 13 ottobre di quell'anno. I due appartenevano a mondi diversi: Salvatorelli era un neutralista giolittiano mentre Pieri un interventista democratico. Per quanto entrambi cercassero di supportare le proprie tesi con argomentazioni di carattere storico appariva evidente, secondo la testimonianza di De Felice, che essi discutevano fra di loro negli stessi termini e con la stessa passionalità delle polemiche della vigilia del primo conflitto mondiale. 

L'episodio, è di poco conto ma conferma il fatto che su tutta una generazione di storici la Grande Guerra, come venne chiamato allora il primo conflitto mondiale, ebbe importanza fondamentale nel'indirizzarne gli interessi storiografici e nell'influenzarne la produzione. 

Per alcuni studiosi - Niccolò Rodolico e Gioacchino Volpe - la vita in trincea, il richiamo ai valori che avevano caratterizzato il Risorgimento, la riflessione sul significato della guerra in atto la retorica stessa di un conflitto propagandato come ultima patta del processo unitario nazionele e, il contatto gomito a gomito con soldati provenienti da ogni ragione d'Italia e spesso incapaci di comunicare fra di loro per le differenza dialettali furono elementi che lo spinsero ad abbandonare o mettere, sia pur in qualche caso momentaneamente, da parte in proprio originiari interessi di natura storiografica per occuparsi delle storiche più recenti e riflettere sulle caratteristiche della storia nazionale e sulla funzione del conflitto come strumento di costruzione e consolidamento della identità nazionale.

Anche Piero Pieri, che apparteneva alla stessa generazione dei Rodolico e dei Volpe e che sarebbe divenuto in seguito il riconosciuto e indiscutibile patriarca della storia militare italiana, prese parte attiva al primo conflitto mondiale impegnato in prima linea. Figlio di un eminente studioso di glottologia, egli, che era noto a Sondrio il 20 agosto 1893 da una famiglia di origine toscana, aveva sempre nutrito un vivo interesse per lq questioni militari, tant'è che, appena prima di intraprendere gli studi universitari presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, aveva avuto una brevissima se pur negativa esperienza presso la Scuola Militare di Modena. Si era subito schierato nelle fila dell'interventismo democratico seguendo le orme del suo maestro, lo storico Gaetano Salvemini con il quale sarebbe rimasto legato, da un punto di vista umano e di riconosciuta discepolanza, per tutta la vita. 

Chiamato alle armi nel 1915, venne inquadrato come sottotenente  del battaglione Belluno facente parte del 7° reggimento degli alpini e, al comando di un plotone, fu inviato in prima linea sul fronte dolomitico nella guerra sulle Teofane nel corso della quale venne ferito e si guadagnò due medaglie al valore, una d'argento e una di bronzo. Alla fine dell'ottobre 1917, egli, promosso capitano, si trovò, al comando di una compagnia alpina di mitraglieri, coinvolto nelle fasi più drammatiche dell'offensiva austriaca culminata nella disastrosa sconnfitta a Caporetto. Catturato insieme ai suoi soldati, venne internato in diversi campi di prigiona e, infine, dopo un non riuscito tentativo di fuga, nel campo di punizione di Komarom e nei pressi di Linz. 

Alle proprie eperienze belliche Pieri avrebbe dedicato, due significativi lavori: il toccante saggio intitolato Un episodio di prigionia. La morte del capitano Enea Guarneri medaglia d'oro alpina, scritto nel 1919 ma pubblicato solo nel 1924 e il volume La nostra guerra sulle Tofane, edito nel 1947, più volte ristampato e di riconosciuta importanza, nello sterminato panorama pubblicistico di memorialista e storia militare, per l'attenta e critica utilizzazione di materiali di provenienza austriaca e tedesca che davano conto delle posizioni, delle scelte e delle ragioni del nemico. 

Rientrato nella vita civile, Pieri iniziò la carriera di insegnante dapprima nelle scuole secondarie di Firenze e poi nel collegio militare della Nunziatella a Napoli per approdare infine, dopo un periodo di insegnamento presso la Facoltà di Magistero dell'Università di Messina, alla Facoltà di Magistero dell'Università di Torino dove insegnò storia romana e storia moderna e dove ricoprì più volte la carica di preside. Si spense il 16 dicembre 1979 a Pecetto Torinese, dove s'era stabilito negli ultimi anni quando la malattia e gli acciacchi di un'età ormai avanzata lo avevano costretto ad abbandonare gli studi storici e a delineare alcune proposte di lavoro, cui teneva in modo particolare, coma la curatela di un volume dell'epistolario di Giuseppe Garibaldi. L'ultimo suo volume, era stato una bella ed equilibrata bbiografia dedicata a Pietro Badoglio pubblicata qualche anno prima, nel 1974, e in seguito più volte ristampata. 

Gli iniziali interessi storiografici di Pieri erano stati indirizzati verso la storia medievale e moderna e verso il Risorgimento con lavori che, unendo la prospettiva della storia politica e della storia economico-giuridica secondo la lezione di Gaetano Salvemini, avrebbero aperto nuovi campi di indagine poi arati da altri illustri studiosi e continuatori da Walter Maturi a Nino Cortese fino a Ruggero Moscati. Tra questi lavori meritano di essere commentati La Restaurazione in Toscana 1814-1821 (1922), Intorno alla storia dell'arte della seta a Firenze (1927), Il Regno di Napoli dal luglio 1799 al marzo 1800 (1928). 

Nell'inizio degli anni Trenta, Pieri si dedicò quasi esclusivamente, alla storia militare della quale sarebbe divenuto ben presto il più autorevole studioso italiano. Era stato probabilmente inflenzato, in questa scelta, dalla lettura di suggestivi scritti di Carl von Clausewitz. a cominciare dal celebre trattato sulla guerra, e da quelli di Hans Dellbrück, uno studioso e uomo politico liberal - conservatore che aveva insegnato alla Humboldt-Universitat di Berlino e aveva postulato, proprio, la necessità di integrare la storia politica ed economica con quella militare. 

Frutto di questo nuovo interesse è, il poderoso lavoro su La crisi militare italiana nel Rinascimento, nei suoi rapporti colla crisi politica ed economica (1934) poi riproposto in edizione rivista e ampliata nel 1952 con il nuovo titolo Il Rinascimento e la crisi militare italiana: un'opera, che analizzava gli aspetti della crisi militare ittaliana alle soglie dell'era moderna sostenendo la tesi che essa era conseguenza di una crisi molto più vasta e complessa, non limitata quindi all'aspetto purramente militare, una crisi insomma che intercessava l'intero sistama degli Stati italiani di quel periodo. Pieri, in aperta polemica con gran parte della storiografia del tempo che attribuiva a una cronica debolezza militare degli antichi Stati italiani dell'età comunale e rinascimentale e la responsabilità della <<crisi della libertà italiana>>, chiamava in causa questioni politiche, economiche, sociali rivendicando, al tempo stesso, tanto l'efficienza quanto la preparazione tecnico-militare delle milizie e dei loro condottieri. Convinto della necessità di studiare l'arte della guerra, Pieri faceva vedere plasticamente come, fra la seconda metà del XV secoli e gli albori del XVI, l'irruzzione degli eserciti spagnoli, francesi e imperiali nell'Italia del tempo e la perdita della indipendenza politica in tanta parte della penisola fossero fenomeni spiegabili non tanto in termini di tecnica militare dal momento che in tutta l'Europa del tempo degli italiani erano considerati ottimi soldati quanto piuttosto come conseguenza della intrinseca debolezza istituzionale dei vecchi Stati. All'epoca il volume di Pieri venne recensito entusiasticamente da Adolfo Amodeo sulla rivista crociata La Critica e da allora il giudizio sull'importanza di quell'opera non è mutato tant'è che, in tempi recenti, ha osservato giustamente Alessandro Barbero che in essa era contenuta una <<intuizione nuova>> in conntrasto col <<luogo comune da sempre ripetuto>> relativo alla <<inferiorità militare>> degli italiani del tempo: una intuizione che <<si può considerare ormai come un dato acquisito del panorama storiografico e, forse, in qualche misura, della coscienza comune>>. 

Man mano che, con l'andar degli anni, andava spostando la propria attenzione di studioso verso il Risorgimento e l'età contemporanea Pieri andò concentrandosi ance sugli sviluppi del <<pensiero militare>>, sugli aspetti teorici cioè legati alla tematica bellica e insurrezionale sia durante i secoli della dominazione straniera sia durante l'età risorgimentale. In questo quadro e in questo senso il volume Guerra e politica negli scrittori italiani che egli avrebbe pubblicato nel 1955 rimane ancora oggi un testo insuperato sia per informazione sia per la finezza nell'analisi critica e nelle conclusioni. Egli sviluppò una precisa vsione della storia militare intesa non soltanto come una disciplina delle batteglie e delle guerre ovvero alla descrizione di scelte tattiche o strategiche. 

Che cosa, secondo Pieri, sia e come dabba intendersi la storia militare e quale impotenza essa rivesta nel più vasto terreno della storia generale lo spiega assai bene questo passaggio tratto dalla prefazione alla sua opera forse più conosciuta e apprezzata, la Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni (1962), un passaggio nel quale l'attività bellica o anche insurrezionale non viene demonizzata sulla base di un giudizio di valore etico-politico o di un pacifismo idoelogico ma viene analizzata con asetticità critica e scientifica: <<Guerra e insurrezione sono pur sempre la manifestazione di forza attraverso la quale si attuano tanto spesso le maggiori conquiste della civiltà umana; e non vanno considerate soltanto come manifestazioni di forza bruta, bensì come il portato d'energie spirituali, affermazione di necessità politiche e sociali, capacità d'affrontare fatiche e pericoli e spesso manifestazioni grandiose di spirito d'abnegazione. La guerra, non è soltanto la politica continuata con altri mezzi, vale a dire la politica estera che sostituisce all'azione diplomatica la più rude azione degli eserciti, ma, come il Clauswitz lucidamente intuì, essa è l'espressione, quanto più volge verso la sua naturale forma, dello sforzo di tutto il paese, d'ogni sua attività convogliata verso la grande lotta e l'alta meta. Alla luce di tali considerazioni e in questo quadro, la storia militare finiva per avere un proprio campo, che non era <<per nulla soltanto tecnico>> ma richiedeva <<come ogni altra disciplina, preparazione e attitudine>>. In altra occasione, poi, parlando al primo congresso nazionale di scienza storiche organizzato dalla Società degli Storici Italiani a Perugia nell'ottobre 1967, Pieri precisò ancora meglio la sua idea di storia militare richiamando ancora una volta Clausewitz: <<la storia militare non deve limitarsi a studiare le caratteristiche e le esigenze della guera regolare, e fin dove questa abbia potuto o saputo utilizzare le forze vive della nazione, ma pur anche la guerra insurrezionale nelle sue svariate forme; e deve pure indagare l'attività teoretica che accompagna i vasti problemi, sia per meglio compreenderli che per giungere a soluzioni nuove. La guerra è tutta intersecata, da motivi d'indole psicologica e spirituale, che sfuggono ad ogni preciso calcolo matematico, e che viceversa ne influenzano in modo spesso decisivo gli sviluppi; e sono motivi non sempre facili da individuare e da valutare nelle loro estrinsecazioni e nella loro reale efficienza>>. 

Questa concezione, <<globale e non esclusivamente tecnica>> di una storia militare, intesa come ideale punto di decantazione o punto di raccordo fra storia politica, economico-giuridica, sociale, culturale e via dicendo,e, per ciò stesso, capace di aiutare la comprensione delle vicende storiche e dei comportamenti individuali; questa concezione, si diceva, informa le opere maggiori di Pieri, a cominciare, dalla ricordata Storia militare del Risorgimento, Guerre e insurrezioni apparsa in un momento nel quale la letteratura storiografica sul periodo risorgimentale aveva ormai, da tempo, superato la fase della esaltazione agiografica o mitologica ovvero quella della strumentalizzazione politica dello sforzo bellico e aveva imboccato la strada di una consapevole revisione critica. 

Il volume di pieri sulle vicende militari del Risrogimento, si caratterizza, già a un primo sguardo, non tanto come ricostruzione oleografica della lunga stagione risorgimentale quanto piuttosto come storia critica, capace di sottolinearne sia i pregi sia le manchevolezze, di tutto il processo di unificazione nazionale visto non soltanto attraverso la sequenza delle insurrezioni e dei conflitti ma anche nei suoi aspetti morali, politici, economici, sociali. Si tratta di un'opera che, a pieno titolo, si inserisce nel dibattito storiografico sulla natura e sulle caratteristiche del Risorgimento, sul fatto cioè se esso sia stato opera di minoranze o frutto di iniziativa popolare, oltreché, naturalmente, sul momento genetico dello  stesso. Anche per Pieri il Risorgimento fu, certo, un fatto italiano, un grande fatto italiano, che, prima ancora di essere militare, aveva il carattere di una vera e propria <<resurrezione spirituale>> iniziata nel diciottesimo secolo all'interno del <<grande movimento d'idee d'Europa e passata dietro il decisivo impulso della Rivoluzione francese attravero le grandi esperienze politiche del periodo repubblicano e napoleonico>>. Così, la Storia militare del Risorgimento prende le mosse proprio dal <<risveglio guerresco>> dell'Italia napoleonica e giunge fino alle soglie del completamento dell'unità nazionale con la presa di Roma passando per le cospirazioni e le rivoluzioni degli anni venti e trenta, le guerre d'indipendenza, la liberazione del Mezzogiorno e via dicendo. 

Una pregevole caratteristica del lavoro di Pieri è l'attenzione  riservata alla discussioni teoriche sulle questioni militari e sulle caratteristiche stesse del tipo di guerra combattuto o da combattere. Pieri analizza il <<trattato>>, per certi versi utopico, del Conte Angelo Bianco di Saint-Jorioz sulla guerriglia per piccole bande secondo un modello, fatto proprio di Giuseppe Mazzini, che, ispirandosi alle lotte popolari antifrancesi del periodo napoleonico, puntava a un'opera di continuo logoramento delle milizie austriache. O, ancora, si sofferma sugli scritti di Guglielmo Pepe, di Giacomo Durando, di Cesare Balbo pper non dire, com'è ovvio, di Carlo Pisacane. E via dicendo. L'interesse per il dibattito teorico è accompagnato, oltre che dalla ricostruzione dei singoli eventi militari e dei loro precedenti politico-diplomatici, da una sempre equilibrata analisi dello sviluppo alla fase preunitaria a quella unitaria, e degli eserciti degli Stati pre-unitari, a cominciare da quello borbonico. 

Nell'ottica di Pieri le guerre del Risorgimento, culminate nelle <<due fasi luminose del 1848-49 e del 1860>> fecero della <<rivoluzione italiana>> una <<singolare caratteristica della storia europea del secolo XIX>>. Secondo un illustre studioso di storia politica e diplomatica come Francesco Valsecchi, il Risorgimento fu l'espressione italiana del più generale fenomeno europeo della cosiddetta <rivelazione delle nazionalità>>. A tale visione, in un certo senso, si ricollega anche la lettura del processo di unificazione nazionale fatta da Pieri anche se, nella sua valutazione, l'Italia non ebbe <<nel Risorgimento una sua grande guerra, come quella della Prussia nel 1866 e nel 1870, né una grande insurrezione come quella dell'America, della Spagna e della Grecia>> se non dopo mezzo secolo di vita unitaria con il conflitto del 1915-1918. 

Della Grande Guerra Piero Pieri cominciò a internarsi come studioso molto presto. Nell'agosto 1919, egli pubblicò, pur senza firmarli, nei numeri 34 e 35 del settimanale L'unità diretto dal suo maestro Gaetano Salvemini due lunghi articoli, che nel loro insieme costituiscono un vero e proprio saggio, dedicati a La rotta di Caporetto veiva definito, <<una grande malattia dell'Italia>> causata, in primo luogo, dal <<preventivo indebolimento generale organismo>> e, in secondo luogo, da un <<attacco di germi nemici, che nel campo dell'organismo, preventivamente indebolito, trovano le condizioni favorevoli per sviluppare la malattia>>. La tragedia di Caporetto intervenne  in un clima esacerbato dalla propaganda disfattistta, in una situazione di stanchezza generale dellla quale, però, sarebbe stato <<difficile dare la responsbilità diretta a determinate persone o gruppi sociali>>. Le cause della catastrofe non erano riconducibili alla troppo semplicistica e ingiusta spiegazione del cosiddetto <<sciopero militare>> anche perché, prima di cedere al nemico, molti battaglioni avevano dato prove di eroico valore. La verità è che, secondo Pieri, la massima responsabilità della sconfitta spettava <<al Comando supremo, al Comando della II Armata, e in generale alla gerarchia militare, che condusse male la guerra fra il 1915 e il 1917, non seppe riparare in tempo al male avvenuto per circoscriverne l'entità>>. Il saggio di Pieri illustrare acuratamente disposizione e movimenti delle truppe al momento della dodicesima battaglia dell'Isonzo e analizza con accuratezza i precedenti di Caporetto sottolineando gli errori iniziali, il mancato sfruttamento dei successi tattici, lo stato morela delle truppe, le condizioni morali del soldato e via dicendo. Era, insomma, un vero e proprio contributo scientifico. 

Negli anni immediatamente successivi e durante l'intero ventennio fascista Pieri continuò ad occuparsi della Grande Guerra con studi settoriali e con ampie recensioni di lavori italiani ed esteri ma non scrisse un libro di sintesi. Probabilmente ciò sarebbe stato dovuto al fatto che egli, antifascista convinto e legato a storico come Gaetano Salvemini  e Adolfo Omodeo, volesse evitare di contribuire alla strumentalizzazione fascista della Grande Guerra. Se, da un lato, il patriottismo e l'eroismo di Pieri, insieme alla sua convinzione sulla necessità storica della Grande Guerra come evento conclusivo del processo di unificazione nazionale, avrebbero potuto apparire funzionali alla miizzazione fascista del conflitto, da un altro lato, il suo rifiuto delle posizioni naturalistiche, la sua attenzione alle ragioni del nemico, la sua lontananza dall'idea fascista della guerra mondiale come levatrice di una nuova Italia diversa e antietica rispetto all'Italia liberale e la sua stessa visione della guerra come guerra di popolo erano evidenti tanto nei saggi quanto nelle recensioni che egli andava pubblicando. Attraverso tutti questi lavori settoriali e queste riflessioni sulla letteratura storiografica, Pieri andava affinando la sua concezione di una storia militare non limitata alla ricostruzione delle operazioni belliche ma attenta anche alla attività delle strutture di comando e all'organizzazione degli eserciti, nonché alla politica interna e, soprattutto, alla dinamica delle relazioni internazionali. 

Il lavoro di sintesi sulla Grande Guerra venne scritto da Pieri verso la fine degli anni cinquanta come capitolo di una bella e fortunata Storia d'Italia in cinque volumi coordinata da Nino Valeri e fu ripreso e pubblicato autonomamente, in versione rivista e amplitata, nel 1965 con il titolo L'Italia nella prima guerra mondiale. E si tratta di un lavoro che resta ancor oggi, a diversi decenni della sua stesura, del tutto insuperato. Un lavoro, che è in primo luogo di storia militare propriamente detta ma che, al tempo stesso, approfondisce i temi della storia politica, della storia sociale e, financo, della storia diplomatica. Sin dalle primissime pagine del libro, viene messo in luce, attraverso il richiamo al fatto che  il conflitto era scoppiato per il venir meno del <<nuovo equilibrio europeo>> sorto nel 1871 dopo la guerra franco-prussiana, il carattere epocale di un evento destinato a incidere sul futuro politico dell'Europa del tempo. E, vengono analizzati sia il sottile e sotterraneo lavorio diplomatico di un'Italia sottoposta alle pressioni dei paesi belligeranti maa decisa a fare una scelta congruente con impegni internazionali e interessi nazionali, sia lo scontro fra i neutralisti e interventisti sfociato infine in quelle <<radiose giornate>> del maggio 1915 che risvegliarono <<in molta parte della borghesia e delle stesse masse popolari gli impeti più generosi e le tendenze più nobili>>. La guerra, appariva a Pieri necessaria per il completamento del processo di unificazione nazionale. Essa è narrata, dal punto di vista della tattica e della strategia militari, in L'Italia nella prima guerra mondiale attraverso dei piani militari contrapposti, dei dissidi interni al Comando supremo e agli alti comandi. I giudizi sui generali cui era affidato il comando delle operazioni sono particolarmente equilibrati come mostrano, per esempio, le pagine dedicate alla figura di Luigi Cadorna, <<uomo indubbiamente notevole>> e <<personalità di rilievo>> che <<nel legame fra guerrra e politica estera aveva avuto quasi sempre intuizioni felicissime>> ma che aveva perduto la fiducia dei combattenti, per <<una guerra condotta con metodi tattici inadeguati, rudimentali, con sperpero di vite umane, sperequazioni grandi nei sacrifici e nei premi, mancanza  di superiore umanità>> e, soprattutto, <<cattivo governo anche dei quadri superiori>> e <<uno stato d'incertezza, quasi di terrore, d'insincerità nel rapporto gerarchico quanto mai pernicioso>>. La salvezza dell'Italia dopo la catastrofe di Caporetto fu dovuta, prima ancora e più che alla sostituzione di Cadorna con Armando Diaz, al valore e alla abnegazione degli italiani: <<L'Italia doveva salvarsi e trionfare delle manchevolezze degli organi militari e politici, innanzitutto per le forze vive e sane che mostrava ora, dopo cinquanta anni di libera vita unitaria, di saper generosamente sprigionare dal suo seno, nei momenti decisivi la sua nuova esistenza>>. Nella Grande Guerra, l'Italia <<aveva sopportato virilmente l'immeritata sciagura di Caporetto e perseverato nella lotta fino allo sfacelo della grande potenza avversaria>> sarebbe uscita <<più di tutte le potenze europee vincitrice>> perché aveva soddisfatto <<le sue operazioni nazionali e di sicurezza>>. 

Per quanto dovesse, davvero molto al magistero storiografico di Salvemini, Pieri fu uno studioso che, per latitudine di interessi e pluralità di approcci metodologici, non appare incasellabile in una precisa scuola storiografica. Il suo istintivo eclettismo e l'influenza  del paradigma storicistico mutuato soprattutto da Delbrück che spinsero verso un modello, di storiografia militare che univa la dimensione tecnica e quella economico-giuridica a quella politica. 

Per quantoo dovesse davvero molto al magistero storiografico di Salvemini, Pieri fu uno studioso che per latitudine di interessi e pluralità di approcci metodologici, non appare incasellabile in una precis scuola storiografica. Il suo istintivo eclettismo e l'influenza del paradigma storicistico mutuato soprattutto da Delbrück lo spinsero verso un modello, di storiografia militare che univa la dimensione tecnica a quella economico-giuridica e a quella politica. Per usare le parole di un altro grande studioso di storia militare, Raimondo Luraghi, quest'uomo <<di innata modestia>> si assicurò <<ben meritatamente una fama elevata e duratura tra gli studiosi d'Europa e non solo d'Europa>>. 

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